EDUCAZIONE FISICA

L’inizio è straniante. Sulla scena, uno spoglio campo da basket, una figura grottesca, caricaturale  insegue i suoi pensieri totalizzanti  in gesti ripetitivi e parossistici; potrebbe essere il dittatore di Chaplin  come l’istrionesco capo  dei regimi politici del 900, come ancora uno dei  tanti leader del nostro tempo. È un allenatore che vuole trasformare un gruppo di adolescenti nella squadra perfetta; forgiare i loro corpi, orientare le loro teste, sembra ripetersi.

In 60 minuti  secchi, asciutti, urlati – come è urlata l’assenza di ogni forma di  dialogo- “Educazione fisica”è  la cronaca del training di un coach di una squadra di basket.

 I ragazzi gli credono, si lasciano plasmare, innocenti ed  inconsapevoli assecondano la sua esaltazione fino a diventare suoi complici, proiezione amplificata delle sue ossessioni.

Si allenano al grido  di “If you can’t, then you must! Se non puoi, allora devi. ” É un allenamento destrutturante, una martellante, estenuante ripetizione di gesti e di parole, che richiama i metodi di formazione di quadri religiosi, politici o economici. In un angolo della scena, insolita in una palestra di duro agonismo,una pianta, quasi un feticcio, che il  leader alimenta per averne alimento; la bagna, la cura, per farla diventare bella e rigogliosa: rappresenta  il suo allievo ideale perché non pensa. Ed anche  la squadra non pensa..

I ragazzi, quasi incoscientemente, scivolano  dal gioco libero di gruppo all’inquadramento quasi militaresco in cui il singolo scompare come identità  trasformandosi  nel contempo in  depositario di regole di  comportamento  basati sulla competizione in nome della vittoria, sulla  diffidenza degli uni verso gli altri, sulla  soggezione.

Ed é proprio la soggezione, l’autocrazia che non ammette il pensiero diverso, il vero collante della squadra “per quel gioco di ruolo in cui gli individui esistono solo come gli ingranaggi di una macchina” e che elimina chi non si mostra all’altezza del compito dato. Lo chiede e lo impone  l’allenatore ma è  la Squadra che poi  accetta e legittima la diversità di potenza come diversità di valore.

Ma lo spettacolo va oltre: vuole essere metafora della omologazione  forzata, del  rapporto potere- individuo, dei meccanismi alienati  che stanno alla base di un gruppo e dove c’è gruppo” v’è il rischio di finire paria o dominatore per propria volontà. Servo e padrone di hegeliana memoria paiono rivivere drammaticamente attuali; ci si chiede chi sia il più forte ma anche chi sia la vittima, chi sia il vero carnefice. L’uno non può esimersi dal ruolo dell’altro, l’uno accetta il potere dell’altro e lo alimenta”.

L’autrice Elena Stancanelli non dà una possibile soluzione; ci ha presentato uno spaccato sociologico in cui ognuno si sente in qualche modo coinvolto o rappresentato. Ma forse la soluzione è proprio qui: “il fatto stesso di diventare coscienti dell’essere “ingranaggio” svelle la macchina e rompe l’automatismo restituendo la libertà”.

Uno spettacolo molto complesso, corale, giocato sulla metafora dell’allenamento in una perfetta fusione tra il linguaggio teatrale e quello sportivo, tutti elementi che ne rivelano  il  carattere sperimentale e la lunga esperienza sul fronte della ricerca teatrale. Uno spettacolo da vedere.

Regia: Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco. Attori: Enrico Ballardini, Sabino Civilleri, Alice Conti, Giulia D’Imperio, Daniele Giacomelli, Veronica Lucchesi, Dario Mangiaracina, Dario Muratore, Chiara Muscato, Quinzio Quiescenti, Alessandro Rugnone, Francesca Turrini, Marcella Vaccarino, Gisella Vitrano. Testo: Elena Stancanelli.  Luci: Cristian Zucaro.  Realizzazione scene: Petra Trombini.

 

 

 

 

 

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