non dobbiamo illuderci: dall’amore di sé non si scappa. Chi dice di voler amare gli altri a prescindere dall’amore di se stesso o “senza amare se stesso” v’inganna, mente. Siamo concreti e veraci: l’amore di sé/per sé non è una posizione che assumiamo nei confronti di noi stessi, ma la nostra … reale identità. Quel bellissimo comandamento antico (=ama il prossimo tuo come te stesso) è pur sempre “rivelazione di Dio”, perciò dice la verità. L’amore verso “se stessi” non può/deve rendere l’amore intransitivo. Dov’è allora il rischio del possibile equivoco? E’ necessario scavare nel “se stesso”, cogliere la verità di sé e capire che l’amore transitante è il “se stesso” che deve – appunto- “transitare”, perché non si chiuda in sé (nelle tante forme dell’autoipsismo, cui spinge la società dei consumi, nel paese dei balocchi). Insomma, l’amore di te è propriamente la tua identità o anche per sapere chi sei, conoscere la tua identità, devi amarti transitando.  Dovremmo amarci così: amare noi stessi perché/in quanto siamo amore per gli altri. Allora, come mi pare di aver letto in qualche padre della Chiesa, quel comandamento antico, letto alla luce del comandamento nuovo di Gesù, potrà essere riformulato nel modo seguente: “ama il prossimo tuo: ecco te stesso”. Sei “te stesso”, solo se ami gli altri. Sarà per questo, che quando si ama, con gesti concreti di amore fattivo o “corporeo”, la vita si riaccende in noi e, in noi, l’amore è come il roveto ardente che tanto meravigliò Mosè, perché “bruciava senza consumarsi”. Infatti, più bruci d’amore, donandolo, più aumenta, cresce, sviluppa calore e il desiderio di operare ancora il bene. Vive in noi la gioia e la soddisfazione di noi nella gioia… ogni narcisismo è infranto, perché amiamo noi stessi, sempre e solo nell’amare gli altri. Non è istintivo, si capisce… però è possibile. Non è questa la meta del santo viaggio della nostra conversione?

Santa giornata, +donTonino