“E’ MORTO IL RE VIVA IL RE”

Alla fine, dunque, il governo a sorpresa (visto che fino ad un paio di settimane fa non se ne parlava apertamente) si è materializzato. Le novità ci sono. Sono di facciata (ma l’apparenza spesso è sostanza in politica) questo è il governo più giovane della storia repubblicana (a partire dal Presidente del Consiglio under i 40), è composto per metà da donne (8 su 16), alcune in ruoli strategici e delicati (Difesa, Esteri, Sviluppo). Così il nuovo esecutivo si avvicina alle esperienze dei governi Zapatero in Spagna e Cameron in Gran Bretagna. Inoltre, punta sul sostegno di una maggioranza parlamentare effettiva (coinvolta nel governo) di coalizione, ma anche ad una maggioranza strategica più incerte (sulle riforme, con Fi). I rapporti con il Capo dello stato ritornano nell’alveo della tradizione dei governi politici con un ruolo di garanzia del Presidente. Soprattutto c’è la “volontà” di Renzi di puntare alto, di giocarsi il tutto per tutto, di accelerare sulle riforme (a partire da quelle istituzionali ed elettorali anche se al momento la priorità tra le due non è del tutto chiara). D’altra parte, come ricordava Machiavelli (evocato in molto giornali nazionali a proposito dello sgambetto fatto da Renzi a Letta) il miglior modo per valutare un politico è il successo. La volontà e, soprattutto, capacità del neo premier di realizzare i fini per cui ha chiesto il mandato (se non proprio agli elettori, al parlamento e all’opinione pubblica) diventa la cartina di tornasole alla quale aggrapparci per saperne e capirne di più.

A questo punto, però, è opportuno fare un discorso sulle condizioni politiche che dovrebbero reggere il “ministero Renzi”. Alcune sono interne al sistema di governo italico. Quello di Renzi è il 15° governo dell’era della cosiddetta “Seconda Repubblica” (1992-2013) – il 13° se escludiamo i due governi pre-crollo di Amato I e Ciampi. Il terzo governo (dopo Monti e Letta) la cui gestazione è interna alle istituzioni (Capo dello Stato, Parlamento), il che in regime parlamentare non lo rende certo illegittimo tutt’al più meno autorevole. Del resto, ciò nell’ultimo ventennio non si è verificato per la prima volta, gli anni ’90 ci hanno dato un campionario piuttosto variegato di governi tecnici (o del Presidente) e di governi parlamentari. L’investitura elettorale era invece diventata la regola dal 2001 al 2011, appena per un decennio (sic!). Un po’ poco per una democrazia dell’alternanza di stampo occidentale. Ma forse quel misto di stupore e (qualcuno direbbe) di amaro che in filigrana traspaiono sotto le ennesime aspettative è la sensazione che la politica della Seconda Repubblica, in fondo, è parsa avvicinarsi a quella competizione tra squadre (team) di leader (con i relativi seguiti) che cercano di arrivare al governo “anche” grazie ad elezioni di cui parlava negli anni ’50 l’economista americano Anthony Downs. Con la licenza da parte mia di aggiungere “anche”, visto che da buon economista amante dei modelli la condizione era più semplicemente “grazie a regolari elezioni”. D’altra parte, in tempi di crisi e di perenne destrutturazione del sistema partitico il rapporto con l’elettore si è allenta e con esso anche il bipolarismo.

In realtà, al di là del problema non secondario circa la strada maestra scelta per arrivare al governo, dobbiamo considerare qualche altro aspetto. Primo, la forzatura Renzi tenta un allineamento tra premiership e leadership, tra controllo del partito e controllo del governo. Un allineamento che caratterizza quasi tutte le democrazie competitive e maggioritarie, il che non esclude che il partito (il Pd) non sia silente in termini di controllo del leader e di tribuna per le minoranze interne (Civati, Cuperlo e altri all’interno scalpitano). Più in generale, uno dei limiti del centro-sinistra, dai tempi dell’Ulivo, è stata la debolezza della propria leadership (da Prodi premier senza partito; a Bersani segretario senza governo): sono nove il leader che il Pd ha dissipato nel ventennio richiamato. Contro il sempre vivo (ma meno verde) Berlusconi. La sinistra in questi anni ha messo in scena ripetutamente il rito (freudiano) del parricidio, la destra il mito (di Cronos) del padre smodato divoratore dei propri figli. In entrambi i casi l’Italia non è riuscita a trovare un equilibrio maturo nel rapporto tra leadership e democrazia. Questa è la prima sfida politica di Renzi. Sostenuta, forse, anche dal timore di restare impantanato, e così condannarsi alla irrilevanza, nella logorante gestione della segreteria del Pd. Ma diceva Benedetto Croce, un conto e parteggiare un altro e diverso conto è governare. Vedremo.

In secondo luogo, l’avvicendamento spericolato con Letta risponde all’esigenza di realizzare un secondo allineamento questa volta esterno. Passare da un governo orientato alla stabilità monetaria, ad un governo orientato all’economia reale e alla crescita. Dalla responsabilità verso le istituzioni europee e della finanza sovranazionale alla responsabilità verso le categorie produttive, i gruppi sociali e le famiglie della società nazionale. Si tratta, in breve, di trovare un nuovo equilibrio (che è anche una quadratura del cerchio tra tassazione e investimenti per lo sviluppo e la qualità-paese). La sfiducia delle parti sociali nei confronti di Letta necessitava un cambio di marcia. Ma forse anche il timore di elezioni europee di primavera sull’onda del sentimento e/o rancore antipolitico e antieuropeo. Ma qui c’è qualcosa di più profondo.

Le più recenti ricerche sulla globalizzazione, la crisi economica e il loro impatto sulle politiche nazionali (mi riferisco ai recenti lavori di Hanspeter Kriesi e collaboratori) hanno messo in risalto che, da almeno un ventennio, è profondamente cambiato il significato del conflitto nelle democrazie avanzate. Quelle sfide hanno prodotto nuovi gruppi di vincenti e soprattutto perdenti (gruppi sociali, territori, nazioni) che mal si collocano nella divisione tradizionale del campo politico destra-sinistra. Imprenditori e lavoratori qualificati in settori ad economia protetta e fortemente localizzati, lavoratori non qualificati e precari, pubblico impiego e categorie deboli del mercato del lavoro (giovani), nel complesso i ceti medi: sono visti come i probabili perdenti della crisi e quelli chiamati a sopportarne i costi. Luciano Gallino ha più volte ricordato che oggi buona parte delle scelte politiche sono del tipo: chi perde che cosa, ovvero chi paga i costi e sopporta gli svantaggi della crisi. Aggiungerei: fino a che punto? Comunque sia, questi nuovi gruppi situazionali costituiscono un “potenziale politico” non rappresentato, o sempre meno e peggio rappresentato dai principali partiti di governo (di centro-destra o centro-sinistra). Anzi, le scelte “responsabili” (a livello europeo) hanno sì dato sostegno all’integrazione ma a scapito delle istanze di queste realtà sociali eterogenee (mentre il dibattito in voga ancora qualche hanno fa sulla c.d. Terza via doveva servire a coniugare liberalismo e solidarietà). Nel frattempo, lasciati soli, i perdenti sono diventati i referenti naturali della protesta antipolitica e anti-europeista di destra (difesa della comunità nazionale o territoriale e politiche anti-migrazione) o di sinistra (difesa del welfare e critica delle politiche liberiste). In Italia, per es., dalla Lega al M5S, con Fi nel mezzo.

In questo scenario quello di Renzi costituisce un tentativo (disperato ??) di riequilibrare (o almeno dare l’impressione di fare ciò) la rappresentanza a favore dei probabili perdenti della crisi senza inquietare troppo i vincenti. Insomma, di provare a dire qualcosa di sinistra anche se sbiadita (come Tony Blair si disse aveva inaugurato una politica “Tory light”, conservatrice morbida) . A livello Europeo, invece, costituisce  ciò un tentativo di spostare l’asse stabilità-crescita e, quindi, aumentare i margini di manovra rispetto ai vincoli dell’UE. Ma con moderazione. Senza inquietare troppo l’Europa dei banchieri. Tutto ciò, probabilmente, nella speranza che le prossime elezioni europee non si traducano nel “cavallo di Troia” dell’euroscetticismo. Con rischi imprevedibili per il quadro politico nazionale ed europeo. Sinceri auguri.

*Università della Calabria

 

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