È IL CESANESE DEL PIGLIO IL PASSO IMPORTANTE VERSO LA QUALITÀ DEI VINI LAZIALI?

Dal primo al quattro aprile si è tenuta nella Sala della Ragione del comune di Anagni la manifestazione “Rosso Cesanese”. La manifestazione, che è alla sua seconda edizione, si pone l’obbiettivo di promuovere la conoscenza e la valorizzazione delle eccellenze enogastronomiche del territorio del frosinate agli italiani e agli stranieri. A questo proposito erano presenti delegazioni di buyers belgi, danesi e norvegesi.

L’idea di fare questa manifestazione è scaturita dall’assegnazione della DOCG al Cesanese del Piglio. Si è voluto così con questo evento promuovere la prima DOCG del Lazio.

È innegabile che i vini del Lazio, fino a pochi anni fa’, erano considerati al limite del bevibile. Tutt’oggi molte delle DOC laziali faticano a decollare sul piano qualitativo, poiché i consumatori non sono disposti a spendere più di un paio di euro per la maggior parte dei vini laziali. Tanto per fare un esempio, DOC come Velletri, un tempo considerato il migliore tra i vini dei Castelli, Frascati, Marino, Est! Est!! Est!!! Montefiascone, Castelli Romani e Orvieto sono vini per cui il consumatore non è disposto a spendere nella migliore delle ipotesi cifre al di sopra dei quattro o cinque euro. Questo fattore ha spinto molti produttori di qualità a produrre i propri vini come IGT Lazio piuttosto che utilizzare una delle varie DOC disponibili, evitando così di dare vita a un prodotto che non avrebbe avuto un mercato.

Le uniche DOC che stanno riuscendo a emergere sono il Cesanese del Piglio, un percorso iniziato già prima dell’assegnazione della DOCG, e il Frascati, che vive in un doppio binario: da una parte vini decisamente imbevibili e d’altra una serie di vini di qualità, che stanno cercando di rilanciare un eccellente territorio per la produzione vitivinicola.

La brutta fama dei vini laziali male si sposa con la grande qualità che il territorio offre. L’abbassamento qualitativo, dettato dalle poche possibilità economiche dell’immediato dopoguerra, non è più giustificabile ai giorni d’oggi, tanto meno dieci anni fa’. L’uso del tendone come sistema di allevamento della vite e la coltivazione di vitigni decisamente discutibili può essere giustificato oggi solo per scopi di memoria antropologica. Sono in molti oggi i produttori che non vogliono abbandonare questi sistemi, che garantiscono sì maggiore produzione, ma a scapito della qualità, avendo così un prodotto, nella gran parte dei casi, al limite della decenza.

La zona dei Castelli Romani è certamente la più importante della regione sia per i quantitativi di produzione sia per la vocazione dei terreni, ricchi di potassio e fosforo, e il clima mitigato dalla presenza dei laghi.

L’altra zona di grande interesse è il viterbese nelle zone del lago di Bolsena e dei calachi.

La provincia di Latina sulla carta sarebbe la meno interessante e, invece, sta dando grandi risultati, grazie soprattutto a una cantina che si è fatta portavoce del rilancio dei vini laziali.

La provincia di Frosinone si discosta dal resto della produzione vinicola della regione. Mentre nel resto del Lazio è il vino bianco il protagonista, l’uva a bacca bianca rappresenta circa il 75% della produzione laziale, nel frosinate la produzione è quasi esclusivamente di vini rossi ed è il cesanese il protagonista principale e rientra in vari disciplinari, come il cesanese di Olevano, il cesanese di Affile e il cesanese del Piglio.

Storicamente il cesanese era un vino per lo più dolce e proveniente dalla zona di Olevano Romano. Oggi, invece, molti produttori hanno intrapreso la strada del vino secco e importante. L’uva cesanese dà vini rubino non impenetrabili, ma non per questo trasparenti. Hanno buona intensità olfattiva, dove l’alcol è difficile da nascondere. Di personalità fruttata, si riconoscono frutta in confettura e sotto spirito. È un vino particolarmente morbido visto la grande capacità dell’uva cesanese di accumulare zuccheri. È difficile, infatti, mantenere con questa uva una gradazione alcolica inferiore al 14%, ma essendo, per lo più, un vino di montagna, riesce a mantenere i profumi. I terreni sono calcarei argillosi e danno una mineralità più delicata e meno aggressiva di quella dei terreni vulcanici.

In molti ritengono che l’assegnazione della DOCG al Cesanese del Piglio sia il primo tassello di una svolta per il vino laziale. Certo c’è da constatare che il Lazio trova la sua prima DOCG in un periodo dove sempre più si sta svalutando il valore dei disciplinari italiani. Le DOC un tempo considerate come la punta di diamante della qualità sono state sostituite dalla DOCG, proprio perché sono state assegnate un po’ a tutti. Lo stesso processo si sta ormai verificando con le DOCG. Oggi sono molti i produttori che abbandonano le DOC e le DOCG per abbracciare le IGT, dove trovano maggiore libertà di espressione.

L’altro appunto è: può essere un vino rosso il portabandiera delle qualità in una regione di produzione per lo più di vini bianchi?

 

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