DOC SICILIA: UNA POSSIBILITÀ! MA PER CHI?

Oramai è cosa fatta: dalla vendemmia 2011 usciranno in commercio le prime bottiglie della DOC Sicilia, che sostituirà l’attuale IGT Sicilia, a sua volta sostituita dalla nuova IGT Terre Siciliane. Sebbene la nuova promozione a DOC ha reso contenti molti produttori, giornalisti e consumatori, vi è una parte della critica enologica che vede in questo traguardo l’ennesimo passo falso dell’enologia italiana.

I favorevoli alla nuova denominazione sostengono che con il passaggio da IGT a DOC si avranno maggiori controlli sul prodotto, rendendolo di maggiore qualità. La neonata DOC, però, nasce già incoerente, non riuscendo a mettere d’accordo tutti su quello che è il minimo sindacabile per una denominazione di qualità ovvero l’imbottigliamento esclusivamente nella zona di origine. Oggi oltre il 20% della produzione vitivinicola siciliana non è imbottigliata nella zona di origine. Vista la situazione non si capisce di quali maggiori controlli si parla. In un paese dove persino le DOCG, che dovrebbero subire verifiche severissime, riescono a eludere i controlli (basti pensare al Brunello di Montalcino), non si vede dove siano le garanzie su un prodotto DOC.

Il disciplinare della nuova DOC ha sicuramente dei punti positivi, come l’esclusione di sistemi d’impianto non atti a dare qualità, la riduzione delle rese, che comunque a mio avviso restano ancora alte, e il limite minimo di densità di ceppi per ettaro, ma non ha considerato l’inserimento delle sottozone. Fattore che avrebbe certamente salvato questo disciplinare agli occhi dei consumatori e dei critici più esigenti. Anche perché, senza una ricerca particolare dei diversi territori, ci si chiede a questo punto se era veramente necessario fare una DOC dell’IGT Sicilia.

A mio avviso la mancanza di un approfondimento territoriale rende controproducente parlare di DOC. Visto come stanno le cose bastava modificare il disciplinare dell’IGT Sicilia, in modo da riportare certe produzioni nei livello di Vino da Tavola.

Una Denominazione di origine controllata, per essere tale, dovrebbe risaltare una zona viticola particolarmente vocata con particolari e precise caratteristiche territoriali, come l’esposizione alla luce, la composizione del suolo, l’altitudine, la presenza d’escursioni termiche, la vicinanza di corsi d’acqua, il metodo di potatura ed l’allevamento della vigna, in modo da rendere il prodotto di quel territorio unico e non ripetibile in altri territori. Mi sembra superfluo specificare, per esempio, che un vino prodotto nella zona costiera di Donnalucata in un terreno sabbioso sarà diverso da un altro prodotto nell’entroterra in un terreno argilloso.

Eccoti che, se una DOC non si basa sul territorio, ha come scopo solo un fine commerciale. In Sicilia, come tante altre zone dell’Italia, c’è un grosso problema legato a questo fattore. Essa possiede tante DOC inutilizzate, ossia che esistono solo sulla carta, ma che difficilmente si trovano in commercio. Ciò è dovuto al fatto che molti di questi disciplinari, tengo a precisare che non mi riferisco a tutti, esistono solo per fini di consenso politico, ma che, a conti fatti, non apportano assolutamente nulla alla viticoltura di qualità.

Avere cinquanta DOC o averne solo una non fa nessuna differenza, se queste non rispondono a un prodotto veramente di territorio. La verità è che il mercato ci ha abituato a ragionare in un modo sbagliato. Comprare un vino DOC dovrebbe voler dire acquistare un prodotto di grande qualità, mentre comprare una DOCG dovrebbe significare comprare il top, ma purtroppo le cose non sono così semplici. In Sicilia esistono tantissimi vini IGT infinitamente superiori a vari vini DOC o DOCG.

Portare, però, in etichetta la dicitura DOC o DOCG dovrebbe aumentare le capacità di vendita di un prodotto. Infatti, finora, l’unica chiara possibilità che si intravede in questa DOC è il guadagno che sperano di fare molti produttori, puntando sull’impatto che offre un vino DOC rispetto a un vino IGT.

Una DOC veramente interessante e reale sarebbe quella per il vitigno grillo coltivato sulle coste trapanesi, dove dà veramente dei risultati di grande personalità e non questa superdenominazione Sicilia, che non fa altro che omologare il vino siciliano.

La qualità e particolarità di un prodotto non la dà un ufficio ministeriale. Se veramente vogliamo vedere Bordeaux come un esempio per tutti, come dichiarato da Antonio Rallo, nuovo presidente di Assovini Sicilia, la nuova DOC Sicilia dovrà subito correre ai ripari, iniziando uno studio serio e approfondito del territorio Sicilia, per dare vita a varie sottozone, che, se si dimostreranno veramente valide, potranno dare vita, in futuro, a DOCG separate. Questo a mio avviso è l’unico modo per fare di questa nuova DOC un’opportunità per tutti e non solo per chi ci deve guadagnare.

 

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it