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DIETE SUPER-IPOCALORICHE? NO, GRAZIE!
28 Mag 2015 15:49
Ormai dovrebbero saperlo tutti: meno si mangia, meno si dimagrisce. Una dieta dimagrante fortemente restrittiva, infatti, non solo non fa ottenere gli effetti sperati, ma si traduce in un riacquisto del peso “con gli interessi”, e quasi sempre sotto forma di grasso. Un affare, insomma. Perché, allora, ci si ostina a seguire regimi alimentari letteralmente folli e privi di alcun razionale scientifico? Perché, ahimè, l’idea è sempre quella di voler perdere tutto e subito. Ma non è così che funziona, e seguire una dieta dopo l’altra non fa che peggiorare la situazione. Che poi, la precisazione è doverosa, il termine “dieta” NON significa “programma per perdere peso” o simili, bensì “sana alimentazione”, e dovrebbe quindi descrivere un vero e proprio stile di vita, anziché essere usato impropriamente, quasi sempre per suggerire un rapido (e fallace) calo ponderale.
La dieta, infatti, deve racchiudere l’insieme di abitudini alimentari mirate non solo a dimagrire (attenzione, “perdere peso” non sempre equivale a “dimagrire”), ma soprattutto a migliorare e mantenere lo stato di salute, mettendo in atto una sorta di auto-prevenzione. Un corretto regime alimentare, quindi, deve poter essere mantenuto nel tempo, consentendo di non riacquistare il peso perso, e donando alla persona una sensazione di benessere generale. Chi si imbatte in diete drastiche, invece, potrà anche assistere a una rapida perdita di kg sulla bilancia (e non è nemmeno così scontato), ma state certi che quei kg torneranno tutti. Vediamo perché.
Tutte le diete fortemente restrittive celano effetti negativi, sia a livello organico sia a livello psicologico, con il risultato che non si vede l’ora di trasgredire o di terminare il periodo di dieta per ricominciare a mangiare come prima, se non peggio. Inoltre, l’innescarsi di sensi di colpa ripetuti nel tempo porta all’instaurarsi di un circolo vizioso, in cui pensieri depressivi e fallimentari divengono essi stessi causa di un’innaturale ricerca di cibo, che alimenta inevitabilmente l’aumento di peso.
Un regime alimentare, per essere equilibrato, deve garantire il corretto apporto di calorie e nutrienti, ma soprattutto deve essere personalizzato in base alle caratteristiche proprie dell’individuo. Il primo rischio, infatti, è quello fornito da un apporto di calorie troppo basso, o dall’esclusione completa di alcuni alimenti o gruppi alimentari.
L’intake calorico, in particolare, deve essere calcolato considerando in primis il dispendio energetico (metabolismo basale x livello di attività fisica) della persona, ma anche le abitudini alimentari e lo stile di vita. Una dieta fortemente ipocalorica, che non tenga conto di tutti i fattori che influenzano il dispendio energetico, avrà SEMPRE un esito deludente, se non dannoso. È il caso di tutte le diete prescritte facendo riferimento al solo metabolismo basale teorico, o di quelle preconfezionate, disponibili online o sui giornali.
Cosa accade nello specifico? L’organismo percepisce la restrizione alimentare come una situazione di pericolo e forte stress, e innesca quindi numerosi “meccanismi di difesa”, con conseguenze a livello biologico, psicologico e comportamentale. Prima di tutto, per adattarsi al nuovo regime calorico, innesca un adattamento metabolico negativo: abbassa, cioè, il dispendio energetico, e quindi il metabolismo basale, fino al 20-25%. Ma questa non è l’unica conseguenza: fegato e muscoli vanno incontro a una riduzione del consumo di glicogeno, favorendo astenia e irritabilità, e si va, inoltre, incontro a stipsi secondaria, perché l’organismo tende a assimilare tutto per rispondere allo stato di carenza.
Per quanto riguarda la composizione corporea, una forte restrizione calorica non fa altro che intaccare le masse magre (massa muscolare, massa cellulare e acqua), piuttosto che la massa grassa (tessuto adiposo), unico vero target di una dieta corretta. L’inganno, però, sta nel fatto che sulla bilancia il peso scende, perché le masse muscolari, a parità di volume, pesano più del grasso: se stiamo perdendo muscolo, perderemo più kg, ma andremo incontro all’autodigestione muscolare, e di lì a poco ci sarà il fatidico blocco. Molto meglio, invece, perdere peso – e, soprattutto, centimetri – più lentamente, perché significa che si sta perdendo tessuto adiposo (viscerale e sottocutaneo, in base alla composizione corporea di partenza)! Senza contare, inoltre, che la perdita di massa muscolare contribuisce ulteriormente a ridurre il metabolismo basale.
Ancora, la repentina diminuzione di peso corporeo fa sì che alcuni ormoni vadano in tilt, determinando un maggior appetito, e il possibile rischio di “perdere il controllo” e abbuffarsi. Non sono pochi, infatti, i pathways ormonali e le vie di segnalazione che subiscono significative modifiche, insieme all’alterazione del famoso ritmo circadiano (vedi articolo dedicato). Per fare qualche esempio: cortisolo, ACTH, testosterone, adrenalina, GH, insulina, glucagone, leptina etc., sono tutti ormoni la cui secrezione viene alterata dal segnale di allarme promosso dall’organismo.
Si è visto, inoltre, che un ridotto introito alimentare può intaccare la funzionalità tiroidea, in termini di una ridotta secrezione dell’ormone fT4, da cui deriva il più potente fT3, responsabile della termoregolazione e di numerosi processi metabolici.
Molte ricerche hanno dimostrato, inoltre, che la dieta restrittiva aumenta l’insorgenza di ansia, depressione, apatia, irritabilità, preoccupazione o fissazione nei confronti del cibo, oltre ai già citati sensi di colpa quando si “sgarra”. È matematico: prima o poi arriva la perdita di controllo, ed ecco in agguato l’episodio di binge eating (abbuffata compulsiva). È facile, così, dare inizio al circolo vizioso di restrizione -> perdita di controllo -> abbuffata compulsiva -> aumento del peso -> sensi di colpa -> depressione e fallimento -> nuova dieta restrittiva. Le persone che hanno alle spalle una lunga storia di dieting conoscono bene questo vortice.
Una dieta sana e potenzialmente efficace, quindi, deve avere precise caratteristiche: in termini di calorie, non deve mai fornirne una quantità inferiore a quella richiesta dal proprio metabolismo basale; deve tener conto di tutti i fattori individuali, e deve comprendere una ripartizione dei nutrienti che non determini alcun rischio per la salute. Il calo ponderale atteso, di conseguenza, può essere correlato alla struttura corporea della persona, a fattori genetici, alla “storia del peso” e all’attività fisica svolta.
La dieta, per funzionare, dev’essere una dieta “saziante”, rapportata alle reali esigenze energetiche e nutrizionali dell’individuo, che possa modificare eventuali abitudini e comportamenti disfunzionali, potenziando al contempo l’autostima e il controllo. Solo questo tipo di alimentazione può educare a uno stile di vita sano ed equilibrato, perseguibile per tutta la vita.
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