DETACHMENT – IL DISTACCO

 

Il distacco è la condizione che Henry Barthes ha scelto per stare (in difesa) nel mondo. Nessun coinvolgimento, niente di definitivo, a cominciare dal lavoro, supplente di letteratura al liceo, cosa anche questa che gli permette di tenere gli studenti a distanza: il rapporto con loro è un passaggio come gli altri. Poi accade qualcosa: Henry Barthes viene assegnato a una scuola pubblica nella periferia di Chicago, finita nel mirino degli immobiliari, dove trova ragazzi infelici, genitori indifferenti e feroci, colleghi stanchi e disillusi. Ma soprattutto, sotto casa incontra Erica, una ragazzina bella che si buca e si prostituisce, e che suo malgrado entra in quella sfera chiusa che è la sua esistenza.
Tony Kaye, inglese, si era fatto conoscere con American History X, anch’esso un’esplorazione dello scontro/relazione tra adulti e adolescenti, attraverso due fratelli, uno, il maggiore, naziskin, l’altro, il minore, pronto a imitarlo. Il distacco parla di questo, ma è pure una storia d’amore, e una critica alla famiglia, a quell’ universo chiuso di violenza autorizzata che, al tempo stesso, è il riferimento unico e privilegiato nelle decisioni sociali. Ed è un film sulla scuola, anzi sull’insegnamento, entra nell’intimità di cosa è la relazione particolarissima tra maestro e allievo, scrutandone l’alternanza di vuoti e di pieni che mette in gioco, l’ affannosa rincorsa di una verità (possibile) dentro quella che è, proprio come il modello familiare a cui va in sovrimpressione, un’ altra geometria codificata rigidamente, dove la possibilità di errore è forse ancora più alta.
Ci vorrebbe un manuale di istruzioni per essere genitori dice in uno dei suoi monologhi Henry Barthes, che è Adrien Brody, straordinario interprete di un personaggio complesso, costruito su sfumature impercettibili. E si sorride ascoltando ironie e collassi emotivi del corpo insegnante. La psicologa esplode di fronte alla fragile arroganza della ragazzina che le scoppia chewing-gum in faccia dicendole che da grande farà qualcosa di importante. Sei una nullità le vomita in faccia lei, psicologa adulta (Lucy Liu) che dovrebbe offrirle gli strumenti per crescere. E intanto la preside si sbronza per dimenticare il fantasma della pensione, il matrimonio fallito – è la stupenda Macia Gay Harden. E James Caan ride di sé, insegnante con tonnellate di anni sulle spalle, di fronte al salone vuoto del ricevimento genitori, i pasticcini e il the che si ammuffiscono sul tavolo.
Al di là della barriera che è la cattedra, sfilano ogni giorno bulli, belle della scuola, insicuri, studiosi, aggressivi, a loro volta i ragazzi mettono in scena al massimo la sostanza dello studente arrabbiato.
E poi c’è Meredith, la cicciona vittima predestinata, la massacrano tutti i giorni, lei ama fotografare, è brava ma il padre, voce senza volto, le dice che non sa fare nulla – è Betty Kaye, la figlia del regista. Una proiezione autobiografica?
Quel docente di passaggio, che lei immagina senza volto, le trafigge il cuore. Ma lui non sa affrontare questo amore, e nemmeno quello di Erica, la prostituta adolescente che gli fa trovare la cena pronta. Ho cucinato per te, sorride, vegliando il nonno di lui morente. Inadeguatezza. È il sentimento che  accomuna tutti questi personaggi, nel racconto di questo corpo a corpo con la vita, e con i  ruoli che assegna, le improvvise fughe, i gesti imprevedibili, quelli che tanto si sbaglia sempre, fosse anche una carezza, data o negata.
È questa la sostanza del film di Kaye, che mai giudica né tantomeno distilla una qualsiasi retorica della giustificazione. Nei frammenti, disegni, finti home movie, ricordi, digressioni passate e presenti, che compongono la figura del protagonista e la rete delle sue non-relazioni, il regista ci conduce in quello che è il movimento della vita: l’ altalena dei sentimenti, delle umanissime paure, del trauma della perdita che per Henry è il ricordo della madre. Ognuno ha i suoi angoli bui e disperatamente cerca di muoversi, cerca degli appigli al caos. Meredith e Erica sono le due nuove forme di riavvicinamento alla comprensione, le uniche due persone che riescono attraverso il loro distacco dal mondo (per Erica il territorio della separazione da sé è il proprio corpo, mentre per Meredith è l’obiettivo della macchina fotografica) a rimettere in contatto Henry con il passato e a riallacciare il discorso interrotto col proprio dolore nascosto. Il regista sviluppa questa riappropriazione e  riavvicinamento progressivo all’io del protagonista anche a livello stilistico, iniziando con una carrellata in bianco e nero da documentario sulle dichiarazioni di alcuni insegnanti (formula per rimarcare il distacco dai fatti narrati) e proseguendo con un uso sempre più coinvolgente dei colori che rivisitano la storia sotto una nuova luce di speranza e di ritrovato desiderio di vivere.
Mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo (A. Camus)

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