DESTRA E SINISTRA PER ME PARI SON?

La discussione sulla politica provinciale è animata, in questi giorni, dalle notizie sulla presentazione delle liste per le elezioni dei comuni. La novità di questa tornata elettorale è costituita dalla nascita di candidature a sindaco sostenute da coalizioni di esponenti di destra e di sinistra insieme. Ha cominciato il candidato alla carica di sindaco del comune di Pozzallo, Ammatuna, sostenuto, oltre che dal PD, anche da una lista mascherata da “civica” ma composta da esponenti del PDL, e che ieri ha presentato ufficialmente la sua lista alla presenza del segretario regionale del PD. Lo ha seguito Monterosso Almo dove PD e PDL staranno insieme a sostenere Salvatore Pagano, da sempre esponente del centrodestra.

Si lamentava una volta l’estrema ideologizzazione della politica, quando le minime differenze ideologiche si traducevano in distanze nette anche nella prassi politica. La fine della ideologizzazione della politica è sembrata, a molti, l’occasione per liberarsi di vincoli ormai insopportabili e fare politica a 360 gradi, senza legami ideologici o di immagine di sorta.

Ma è vero che ormai in politica, e soprattutto a livello amministrativo, le differenze tra destra e sinistra non contano? A me pare proprio di no.

Le denominazioni di “destra” e “sinistra” delle due parti opposte nell’arena politica nascono in Francia poco prima della Rivoluzione francese. Nel maggio 1789 furono convocati gli Stati generali dal Re di Francia, un’assemblea che doveva rappresentare le tre classi sociali allora istituite: il clero, la nobiltà e il terzo Stato. Quest’ultimo si ordinò all’interno dell’emiciclo con gli esponenti conservatori che presero i posti alla destra del presidente. Questa divisione si ripresentò anche in seguito, quando si formò l’Assemblea nazionale. A destra prevaleva una corrente volta a mantenere i poteri monarchici, a sinistra stava la componente rivoluzionaria. Quando, a fine agosto, si discusse l’articolo della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino che riguardava la libertà religiosa, coloro i quali tenevano alla religione e al re si erano messi alla destra del presidente, per sfuggire alle urla, ai discorsi e alle indecenze che avevano luogo nella parte opposta, dove stava la componente più rivoluzionaria. La denominazione si consolidò durante l’Assemblea legislativa e la Convenzione Nazionale. Con la Restaurazione, la distinzione si conferma come una caratteristica costante del sistema parlamentare, destinata a durare. Dalla Francia si estese rapidamente a tutta l’Europa.

Se questa è l’origine delle denominazioni, i due termini hanno acquistato nel tempo un significato costante e preciso. Mentre la destra ha difeso sempre lo status quo in tutte le sue forme, la sinistra ha lottato per cambiare in misura più o meno rapida la situazione sociale ed economica esistente. Ancora oggi, per quanto i vincoli economici ed internazionali sembrano limitare i poteri dei governi nella gestione dell’economia, sia i governi che anche gli enti locali possono fare scelte importanti nella loro politica che li possono individuare a destra o a sinistra. Per restare nell’ambito locale, basti pensare che, proprio in questi tempi di ristrettezze economiche, un sindaco nel decidere le proprie spese può scegliere tra il pavimentare una strada del centro o incentivare i servizi sociali. Chiunque si avvede che la prima è una scelta di destra, la seconda di sinistra.

Nel 1985, nel corso di una famosa intervista a Norberto Bobbio, il problema fu affrontato ampiamente (Intervista “Che cos’è la democrazia?” – Torino, Fondazione Einaudi, 28 febbraio 1985). Diceva Bobbio: “… Oggi, in una società complessa ci sono molti problemi che devono essere risolti di volta in volta. Io credo che oggi nessuna classe politica può fare a meno di questa politica contingente, di questa politica della congiuntura: però si pone certamente il problema degli scopi ultimi. Soprattutto i partiti che si considerano di sinistra, cioè i partiti riformatori, devono avere delle mete ideali: è solo attraverso questo criterio delle mete ideali che possono esistere la libertà, l’uguaglianza, il benessere ecc.”  E come si distingue un provvedimento di riforma da uno che non lo è? “Io faccio l’esempio della legge che ha liberalizzato i manicomi. Noi oggi diciamo che è stata una riforma, buona o cattiva. Certamente è stata una riforma proprio perché era ispirata ad un valore fondamentale che è quello della libertà, della liberazione, della liberazione anche di coloro che nella storia dell’umanità sono stati considerati come coloro che non potevano essere liberati, che non avevano diritto di essere liberati. Quindi riconoscere a queste persone il diritto di esser liberi come gli altri, questa è una grande trasformazione. E’ una trasformazione della società che si ispira ad un valore fondamentale: per questo si può dire che è una legge di riforma.”  Quindi possiamo dire che non è corretto parlare di tramonto delle ideologie e che non si può fare la politica senza avere dei grandi ideali? “Non si può assolutamente. Soprattutto i partiti di sinistra si distinguono di solito dai partiti di destra e dai partiti conservatori proprio perché vogliono trasformare la società. I conservatori sono quelli che vogliono conservare quello che c’è: i partiti di sinistra vogliono trasformare. Per trasformare bisogna farlo in base a principi, in base a degli ideali che giustifichino la trasformazione: bisogna giustificare la trasformazione. La differenza fra il conservatore e il riformatore è che il conservatore non ha bisogno di giustificare la conservazione, invece colui che vuole riformare la società deve giustificare, deve giustificare perché la vuole; e non può giustificarlo se non ricorrendo a dei grandi principi: e questo è Giustizia e Libertà.” E allora qual’è la differenza tra il politico di sinistra e il politico di destra? “Io ritengo che il politico di sinistra deve essere in qualche modo ispirato da ideali, mentre il politico di destra basta che sia ispirato da interessi: ecco la differenza.”

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