DEL PROFITTO A OGNI COSTO

“Temo che il Pontefice di Santa Romana Chiesa legga e prenda spunto da ciò che scrivo sui social!”, così ho esordito ieri sera, tra amici. A dire il vero mi aspettavo qualche sorriso in più, e invece – vuoi perché ho mantenuto un’espressione del volto abbastanza austera, vuoi perché non c’era poi granché da ridere, in fondo – niente, ho ricevuto in premio tanta serietà! Bene, meglio chiarire: il tentativo di boutade era dovuto in conseguenza di una delle ultime esternazioni del Papa (oddio!!!, sto scrivendo a proposito del Papa?!?, ieri della Grecia… , e domani?, toccherà forse a Steve Jobs? È proprio vero che il “banalismo” è pandemico), il quale faceva appello affinché si possa modificare un sistema economico-finanziario che spesso impone il “profitto a ogni costo”. Sono proprio le parole usate ad avermi colpito, poiché spesso incautamente delle medesime ho fatto uso anche io, nelle mie riflessioni (pur meno importanti e significative di quelle del Papa, dai! Le fortune di carriera vanno gratificate, in fondo, e qualche distinzione il merito la impone).

Il punto è questo, non siamo più capaci di categorizzare alcunché nell’ordine della gratuità. Sarebbe una lettura estremamente facile ed errata (anche se non per conseguenza logica), quella che ne assegnerebbe le cause all’andazzo patrimoniale nefasto della società attuale. Difatti, c’era forse – percentualmente -maggior mutualismo nei primi cinquant’anni del novecento che non oggi, o perlomeno era sicuramente più sano e non toccava alcuni ambiti e settori, dove il buonsenso lasciava tenere a debita distanza l’esigenza di far profitto (chiedo perdono per l’involuto moralismo). Ho inserito, a corredo di questo articolo, le prime due vignette di una delle più recenti storielle lette su Topolino, perché vi aleggia – sotteso – un interessante interrogativo: nel discernimento tra spiagge libere e private, le disagevoli condizioni economiche generalizzate fanno propendere per le prime, alla stessa stregua conduce l’idealità. Aggiungo che il titolo della storiella (e l’invenzione di Archimede Pitagorico cui si fa riferimento sin dall’inizio) suggerisce anche l’ambizione – sacrilega ma condivisibile – a camminare sulle acque, pur di fuggire la calca. Traggo tale indirizzo, dalla vignetta, ma assicuro che esso combacia anche con l’opinione statisticamente comune.

Domanda retorica: il Comune – inteso come istituzione – non riesce a gestire le aree di pubblico interesse (comprese spiagge) ed è per tal motivo che ne fa concessione ai privati, per rendere più piacevole – almeno nelle intenzioni – il godimento e il sollazzo dell’individuo (“cliente”)? Risposta: La volontà politica di chi gestisce patrimonio immobiliare in regime di P.A. dovrebbe essere rivolta sempre al soddisfacimento di quelle esigenze primarie che spesso vengono definite “servizi” essenziali, e – come dicevo prima – occorre sempre avvantaggiare l’uso pubblico rispetto a quello privato, se non altro per favorire la maggior felicità e convivialità possibile, al minor costo immaginabile. Le risorse utili a consentire tutto ciò dovrebbero essere ricavate da buon senso amministrativo, non in ultima ratio evitando distrazioni economiche – o semplice interesse – in comparti che non riguardano l’amministrazione pubblica (penso ai tanti fondi sperperati in spettacoli, laddove invece l’intervento del privato imprenditore sarebbe da promuovere, innanzitutto perché più qualificato). Un caso interessante accade a Scicli, in queste ore, e riguarda la cosiddetta “tassa di soggiorno”. Introdotta maldestramente per volontà politica quasi un anno fa, oggi è stata elevata di tariffa per decisione commissariale. Ebbene, non è da censurare la misura dei commissari, i quali fanno il proprio lavoro (ad “ammanco” si ricorre cercando di coprirlo, c’è poco da fare. Chi lo fa per “mestiere” o funzione pubblica, non deve necessariamente prendere decisioni di tipo politico e non ha un mandato elettorale da tenere in considerazione, non deve fare valutazioni di mercato, o comparazioni, ma – nel caso specifico – semplicemente e asetticamente risolvere il problema più grave che sta a monte e da cui a cascata discendono tutti gli altri, specie quelli di tipo strettamente e tecnicamente contabile), invece ampiamente da criticare mi sembra l’intervento della compagine eletta di un anno fa, la quale agiva in quel modo al di fuori di ogni regola ideologica e di buon senso, introducendo una tassazione superflua e ingerendo nell’attività legittima della libera imprenditoria (Non lo capisco il discrimine per cui in base ai casi questo Libero Mercato si allarga o restringe, mah?!?). Quel che vorrei lasciar capire è che c’è una strana commistione tra ambito privato e ambito pubblico, per cui spesso accade che l’uno e l’altro ingeriscano a vicenda tra loro, alternativamente, senza che ve ne sia una reale necessità rivolta al bene comune. È probabile che il problema sia più istituzionale che non istituzionalizzato, e dunque dovrebbe riguardare innanzitutto il mondo dei giurisperiti, prima degli avventori del bar sotto casa, ma ciò che certo appare – fuor da ogni dubbio – è che oggi ben poco rimane di realmente gratuito. Persino coloro che si occupano di beneficenza, sempre più spesso, fanno rientrare la propria attività in valutazione di bilanci e consuntivi, di fatturato, positività e debiti. Si è persa la spontaneità rurale di una società sana, che dell’accoglienza e della mutualità faceva un mero moto dell’animo. L’accoglienza dei più sfortunati in fuga oggi è malvista, perché – erroneamente tra l’altro, tra le tante vituperevoli ragioni – creduta causa di ulteriore deficit profittuale; l’accoglienza dei più fortunati è invece valutata con favore, autentica manna dal cielo, i turisti da riverire servilmente, pur di suggerne tutto il nettare possibile. Mi chiedo come possa star bene al viaggiatore occasionale una tale artificiosità dei comportamenti. Mi domando dome possa piacere la finzione della finzione, di un ambiente ricreato ad arte (spesso pure male) per compiacere il cliente. Ma qui si rientra tra le preferenze personali, e ognuno si mantiene le proprie, come i denti cariati e l’alitosi.

Anche la cultura è sempre più interessata dal profitto ad ogni costo. Si paga di tutto, dalle passeggiate con letture tra i vicoli barocchi, alle foto dei monumenti, l’accesso alle chiesette di paese, la vista di un panorama dal campanile. È una conseguenza del turismo, come fenomeno di massa. Tutto rientra nel mercato, tutto è commerciabile. Di ciò ci hanno convinto lentamente i cattivi insegnanti mediatici di ogni giorno, in un’operazione ben meditata e graduale. Siamo tutti massa commerciale!, nel mercato globale. Pensate al numero considerevole e incalcolabile di tale calca (come lo stormo di uccelli dell’argomentazione borgesiana sull’esistenza di Dio). E ora chi la convince tutta ‘sta gente che non si può far business su ogni cosa? A me è già passata la voglia di viaggiare…se la sbrighi il Papa!

 

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