DALLA PADELLA ALLA BRACE

A guardare alle cose solo attraverso il filtro dello stile comunicativo non c’è da stare troppo allegri: ieri il Grande Comunicatore Berlusconi, che attraverso l’egemonia mediatica ha intriso dei suoi valori una buona parte della vita di questo paese;  oggi l’automa Monti, che nella glacialità delle sue esternazioni interpreta alla perfezione il ruolo di prolunga mediatica dei cosiddetti “poteri forti” (come se esistessero poteri deboli…..).

Ieri colore, mancanza di aplomb, sbracamenti linguistici, a rappresentare quello che una volta avremmo detto lo stile di una repubblica delle banane. Oggi grigio, loden, terminologie da devastazione post-bellum, perfino una stoccata sulla “dannosità” dei sindacati a rappresentare quella che oggi diciamo la realtà aumentata della finanza internazionale, che pilota i governi e impone le regole.

Non ci manca il teatrino del bunga bunga. Non ci manca l’idea di essere governati da una squadra di esilaranti comunicatori. Non ci manca il sorriso plastificato del più grande imbonitore italiano dopo Mussolini e Vanna Marchi.

Ci mancano Berlinguer e Moro, nel loro grigio e involuto eloquio. Ci mancano Luciano Lama e gli urli degli studenti alla Sapienza contro di lui. Ci manca la possibilità di pensare che la rivoluzione di Mao noi occidentali l’avremmo fatta meglio, senza libretti e senza spie, anche se questo in un angolo di noi abbiamo sempre saputo essere un sogno (ma si sa: i sogni ci tengono a un passo dalla follia!).

E’ come se dopo la gentile concessione di un periodo di svago democratico, organizzato secondo una logica terzomondista, da un’azienda privata che si picca di diventare azienda-stato, il creditore manda il vero esattore a esigere la riscossione.

Guardiamo a ciò che è già successo in Grecia. E a ciò che sta già succedendo in Spagna.

E riflettiamo su cosa rimane di concetti come democrazia, parlamento, partiti.

Credito. Debito. Vita. Morte.

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