DAL BAR AL FRONT NATIONAL

Premesso che seguirò opinando, o più esattamente trascrivendo le mere impressioni da frequentatore di bar, descrivendo in linea generale le idee e le sensazioni in materia di risoluzione del “problema politico”, mi scuso sin da ora per la sicumera apparente che forse manifesterò nello scritto.

Penso – ed è questo probabilmente il peccato originale – che occorra innanzitutto operare alcune distinzioni d’accezione. Se il potere politico è essenzialmente rappresentativo, in qualche modo esso rispecchia sempre e senz’altro lo stato sociale in cui si è soci-cittadini nel dato momento storico. Premettendo ancora una volta che queste sono solo ipotesi, mi azzardo oltre, sino ad acconsentire all’idea pentastellata che il potere politico non debba mai eccedere la rappresentatività, ossia mai debba sconfinare nell’interpretazione della volontà del popolo (sull’onda emozionale di una simile interpretazione si fanno minchionerie pericolose, ce ne diede dimostrazione la Germania nazista). Per cui, secondo me, occorre capire dapprima cosa si vuole “rappresentare” nel consesso decisionale istituzionale (parlamentare e governativo, nello specifico), e poi se l’oggetto non è ritenuto adeguato quale presupposto a un eventuale e supponibile progresso sociale e civile, cercare di individuare quali sono gli enti formativi e infine le elite interpretanti che hanno reso un tale risultato unanimemente sgradevole.

L’oggetto da rappresentare in questo momento storico non è adeguato ad alcun tipo di progresso, secondo il mio modestissimo parere; e se il 5 stelle, spesso accomunato a Salvini o addirittura al Front National, e le altre rappresentanze politiche di rottura (o antisistema) corrono in alto nei sondaggi, non si deve pensare che ci sia una forza cogente in atto che vuole prendere il sopravvento su entità metafisiche-democratiche (roba da complottisti), bensì che il sistema stia funzionando a dovere: la politica rappresenta il popolo, così com’è nella circostanza periodale. Sì, è vero pure che il risultato è tendenzialmente vicino a quello cui si giungerebbe interpretando il cosiddetto Volksgeist, però nello specifico generico non vi è assolutamente forzatura da parte di alcuno, almeno non all’apparenza e sicuramente non incentivante al voto antisistemico. La gente si sta muovendo, in tale ambito, del tutto liberamente (semmai è condizionata alla natalità, come del resto è naturale). Le forzature, paradossalmente, risultano dai vari governi di responsabilità che da un bel pezzo si succedono l’uno all’altro (sin dai governi immediatamente precedenti il quasi-golpe di manipulite, o la caduta del muro, probabilmente), dal momento che comprimono lo stato di libertà democratica condizionandolo in qualche modo (lo si sta facendo in queste ore in Francia per impedire il successo della ex-destra-filo-nazionalsocialista; mi riferisco al ritiro delle liste socialiste in funzione del fronte comune anti-Le Pen). I metodi di condizionamento qui non interessa affrontarli nell’analisi, non al momento. Bisogna invece sottolineare che una tale forzatura democratica è spesso giustificata dalla necessità di operare per ciò che si ritiene il meglio, persino in senso contrario a quanto in realtà vorrebbe il rappresentato-cittadino. Una mamma democratica dovrebbe consentire al figlio neonato di infilare le proprie dita nella presa elettrica, in poche parole, questa oggi è l’allegoria adeguata di un regime di democrazia partecipata. Ovviamente, queste mie opinioni si sforzano di essere quanto più asettiche possibili, altrimenti avrei dovuto precisare che la mia personalissima idea mi rappresenta una situazione in cui entrambe le forze, sistema e antisistema, gradirebbero una fulminazione elettrica (e forse non andrei troppo lontano dal vero, dacché mi pare che l’antisistema giochi per il sistema e, da esterno, non ho più capito chi sia il Cristo e l’Anticristo dell’altro).

Un bambino che vuole ficcare le dita nella presa elettrica va represso nell’istinto (frenato, provvidenzialmente); ma un adulto cui i genitori abbiano regalato da poco la prima automobile (e il suffragio universale, è una buona automobile, entro certi limiti), può ancora ambire a prendersi la scossa? Se si ritiene che ciò andrebbe scongiurato comunque, eppure non si debba incorrere nella pseudo-prodittatura di responsabilità, allora bisogna spostare lo sguardo analitico ai centri di formazione, civica, culturale e politica. La Scuola, ad esempio, questo grande fallimento italiano. L’ultima riforma di Renzi non lambisce i margini della didattica neanche da lontano, come se si avesse paura di imbrogliare ancora di più lo stato dell’opera, già disastroso com’è. Procediamo a rilento sulle ruote ormai fragili della Riforma Gentile (una riforma straordinaria, in un Paese che doveva creare/preparare delle classi di dirigenza per categoria lavorativa, ma assolutamente inutile laddove le categorie lavorative sono saltate da un pezzo), senza prendere in considerazione neanche minimamente il fatto clamoroso – almeno – dell’ultimo cinquantennio, ossia che il progresso tecnologico ci porta verso l’obbligatoria interdisciplinarità globale. Restano le elite culturali, che devo ammettere – un po’ con disagio – appaiono sempre più aristocratiche congreghe familistiche e non di merito. In effetti, oggi l’unica possibilità di ricostituire una base formativa, risiede solo nella possibilità sempre aperta di costituire elite culturali, magari – nello specifico – di formazione politica (destra o sinistra, indifferentemente, dacché le ideologie sono tutte cadute in rovina e i partiti da esse si sono sganciati, tutti). Alla politica rappresentativa compete solo marginalmente d’interpretare e tradurre le idee (le ideologie). Il lavoro interpretativo vero e proprio tocca proprio a queste aristocrazie culturali, le quali possono liberamente dedurre l’inespresso delle base popolare (ciò che sarebbe meglio per il “noi” comune). Una libertà di pensiero che gli è concessa solo in ragione di uno scostamento netto da quanto è sentito ed espresso in un dato momento dall’apparente maggioranza popolo (solo accidentalmente, in rari casi, può talvolta coincidere l’opinione comune e il buon senso). È un’attività possibile questa, poiché non vi è la rappresentanza di mezzo, lo si tenga bene a mente. Ci si potrà prendere dunque la libertà di sconfessare le più banali credenze e superstizioni. Faccio l’esempio dell’escatologia turistica nello sviluppo economico: nella nostra disastrata area geografica, il sentire comune spesso induce i molti a invocare l’aiuto salvifico dei flussi turistici in una circostanza di stagnazione del profitto economico, ciò avviene nel silenzio dei pochi – talvolta influenti e pertinenti – i quali invece sanno benissimo che nessuna politica improntata esclusivamente al turismo può garantire la minima sussistenza di un intero territorio. A cosa serve un’elite culturale che solo abbellisce le parole dei frequentatori di bar, lasciando i concetti abbandonati alla banalità della superstizione vana, se non solo ad arricchire di arguzia estetica l’ambiente dove si presenta un bel libro? La coscienza civica si allarga imprescindibilmente partendo dall’idea dei pochi che vogliono confutare i molti e infine decidono insieme di trovare una sintesi moderata, prima che essa giunga tragicamente da sé. L’elite culturale deve cominciare a pensare nuove basi ideologiche per il domani, di destra e di sinistra come già scritto, altrimenti i rappresentati tenderanno ancora ad individualizzarsi e la rappresentanza a frantumarsi  in un percorso di annichilimento che appare al momento irreversibile.

Gaetano Celestre

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