CORPORAZIONE E COLLETTI BIANCHI …

L’attuale direttore de “Il Giornale”, all’epoca dei fatti direttore di “Libero”, è stato condannato in via definitiva per un articolo pubblicato nel 2007 da un altro giornalista (rimasto sempre sconosciuto) sul quotidiano che dirigeva ad una pena detentiva di 14 mesi. 

La vicenda ha suscitato un coro unanime e assolutamente trasversale di solidarietà nei confronti di Sallusti con richieste al capo dello Stato, appelli al Governo per rivedere in fretta la normativa per “scongiurare il carcere” per un “reato di opinione”.

Premettendo che sono assolutamente d’accordo sul fatto che la libertà di stampa venga tutelata (anche in un Paese come il nostro che questa libertà la utilizza poco e male e che trova spesso i vincoli maggiori alla libera espressione  non nella legge, ma negli intrecci degli interessi societari degli editori), e che oggettivamente appare eccessivo punire con la detenzione il direttore per articoli pubblicati da altri giornalisti (quindi solo per la colpa di non aver vigilato);  alcuni elementi della vicenda mi hanno particolarmente colpito. 

Ovviamente una condanna detentiva è sicuramente una sanzione molto pesante, però sappiamo tutti che in Italia le condanne inferiori a 3 anni per quasi tutti i reati (sono esclusi sostanzialmente quelli di mafia e i reati di violenza sessuale) vengono scontate fuori dal carcere, “in affidamento”, quindi l’eventualità che Sallusti venga “arrestato” sono veramente remote, tranne che egli stesso non scelga di non avvalersi di queste pene alternative per motivi ideologici, l’uso quindi della “drammatizzazione” della situazione mi è sembrato un espediente comunicativo (peraltro si parla di professionisti della comunicazione) per impressionare il pubblico. 

Appare poi bizzarro che “adesso” ci si scandalizzi delle pene detentive che limitano la libertà di stampa proprio da parte di quell’area culturale che fino a qualche mese fa richiedeva a gran voce la “legge bavaglio” e invocava anche “pene detentive” per i giornalisti che avessero osato pubblicare le intercettazioni: bell’esempio di coerenza! 

E poi la cosa più importante è la richiesta di trasformare la sanzione, in questi casi, da detentiva a pecuniaria: è una richiesta giusta? 

La legge compone il conflitto tra la libertà di espressione e la dignità e la onorabilità dei cittadini tutelando il cittadino rispetto all’offesa alla reputazione  e il principio mi sembra francamente sacrosanto. 

Essendo di buona memoria la vicenda di Dino Boffo costituisce ancora un ricordo vivido così come quella del giudice Mesiano seguito e spiato, così come mi è chiaro l’uso dei giornali utilizzati a mo’ di manganello: siamo sicuri che una semplice pena pecuniaria o un risarcimento solo economico possa costituire un valido deterrente per difendere i cittadini dalle conseguenze dirompenti che può arrecare nella loro vita l’uso distorto della stampa?

Specialmente quando l’uso improprio della libertà di espressione torna a vantaggio di poteri economici forti per i quali il deterrente della sanzione economica sia blanda se non irrilevante? 

E allora ad onta di coloro che fanno quadrato per difendere la “categoria” (e mi resta il dubbio che si tratti di una difesa corporativa) suggerirei di stare attenti a eliminare la “responsabilità” del direttore del giornale (non me ne voglia il caro Franco Portelli), o a declassarla a mera responsabilità economica; peraltro esistono tanti altri fattori di deterrenza che potrebbero essere attivati, a cominciare dalle sanzioni disciplinari come la sospensione o radiazione dall’ordine, l’importante è che la libertà di stampa trovi un limite nel rispetto della vita e della reputazione delle persone che debbono essere “tutelate” e non solo “risarcite”.

 

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