CON LA CULTURA NON SI MANGIA…….

Tremonti doveva avere la luna di traverso per dire una tale fesseria, degna delle sottigliezze concettuali di una mia prozia.

Una volta si diceva: se vuoi fare una rivoluzione, se vuoi fare veramente una rivoluzione, devi occupare il palazzo della televisione (altro che il palazzo del governo!). Per dire quanto poca importanza abbia la “cultura”.

Uno dei fattori di forza e di coesione dell’impero romano fu quello di sottomettere militarmente i popoli conquistati ma di lasciare in gran parte intatte le loro culture, integrandole nel sistema globale dell’impero.

Prendiamo il capitalismo, questo marchingegno plurisecolare che non sembra conoscere declino.

C’è il capitalismo come sistema economico, finanziario, produttivo: il profitto, la proprietà dei mezzi di produzione, la sua (relativamente) recente declinazione finanziaria, l’intero apparato del credito e del debito, le istituzioni politiche che vi stanno dentro, alloggiate negli spazi lasciati liberi dall’economia.

C’è poi il capitalismo come sistema di vita quotidiana, con le sue regole di comportamento, gli orizzonti mentali dentro cui si muove la vita degli individui, le loro aspirazioni, i loro progetti, il senso immanente di ciò che si può desiderare e ciò che è vietato desiderare.

Se la cultura non si mangia, allora la cultura è inutile. E la cultura del capitalismo, come di qualunque altro sistema di organizzazione dell’economia di un popolo, può lasciare tranquillamente il posto ad una violenta, militarizzata imposizione di pochi sui tanti. Quanto crediamo potrebbe durare una simile realtà? Tutto ciò che passa esclusivamente per il clangore delle armi dura poco, è volatile, è aleatorio, suscettibile di improvvisi capovolgimenti.

Per durare, ha bisogno di infilarsi nella testa delle persone, divenire parte di esse, sostituendo al loro pensiero un pensiero pre-organizzato, preconfezionato.

Quando ci si addentra all’interno di questo reticolo di elementi culturali, infinitamente più organizzati di quanto non si immagini, ci si trova al cospetto di quello che il grande Michel Foucault chiamava la microfisica del potere, vale a dire le microingiunzioni quotidiane, i mimini dispositivi culturali, scientifici, ideologici, attraverso cui il potere sorveglia, controlla, punisce, premia.

Non ci lasciamo ingannare: quelli come Tremonti sanno bene che ha senso svalutare l’importanza della cultura solo mentre si fa cultura, nell’unica chiave in cui è possibile per un pensiero che sta tutto dentro alla logica capitalistica: farci pensare che non c’è alcuna vera, praticabile, reale alternativa!

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it