CLAUDIO: BAMBINO AUDIOLESO, LA SUA ESPERIENZA CON LA MUSICOTERAPIA

La scelta di utilizzare proprio la musicoterapia con chi è minorato dell’udito, è spiegata dal fatto che il sordo profondo è dotato di una percezione uditiva residua che deve essere esercitata e  affinata ,parallelamente anche alla percezione tattile che lo supporta. Ciò può essere attuato svolgendo stimolazioni sonoro musicali in un’aula ben organizzata di cui sia facile avvertire al tatto la vibrazione.                        La musica oltre ad agire sul linguaggio e sulle capacità senso percettive, agevola nell’ipoacusico la coordinazione motoria, spazio-temporale, la socializzazione e le capacità affettive e relazionali.                                                                                                    I risultati ottenuti con questa esperienza mettono in evidenza chi è disabile dell’udito, non soltanto dei momenti ludici, ma delle importanti occasioni di sviluppo della percezione e della musicalità (1). Premetto anche , che il canale uditivo ha un’importanza fondamentale per lo sviluppo affettivo, basti pensare che già nel grembo materno, il bambino percepisce suoni diversi, il neonato utilizza precocemente il canale uditivo per acquisire nuove conoscenze, e sintonizzarsi con le persone a lui vicine (2);  alla nascita e nei primi giorni di vita mostra una preferenza per i suoni con tonalità gravi, nei mesi successivi il bambino tende a privilegiare  l’ascolto con tonalità acute e questo fenomeno è ben conosciuto dagli adulti che alterano la propria voce per relazionarsi con lui (3). La propria stessa voce assume per il bambino una funzione nelle relazioni tra mondo esterno e mondo interno. L’udito,  quindi , è un sistema estremamente complesso, è quello fra i 5 sensi che si sviluppa per primo, permettendo il contatto con il mondo. Noi udenti utilizziamo questo organo in tutte le nostre attività quotidiane senza che ce ne accorgiamo, questo perché esso compie bene il proprio lavoro, basti pensare che ci permette di sapere cosa succede nel nostro ambiente che ci circonda senza l’ausilio della vista. Tutto questo non succede in un bambino affetto da sordità profonda dalla nascita. Il bambino audioleso viene deprivato da quello che è il suono dolce del carillon sulla culla, dalla ninna nanna cantata dalla mamma, dalle sigle pubblicitarie e da tutti i segnali acustici. Il bambino audioleso che è intelligente come tutti gli altri bambini, ma che è stato deprivato dal mondo sonoro presenta generalmente determinate caratteristiche: ha un atteggiamento diffidente, è iperattivo, testardo, con problemi di coordinazione motoria, spesso si associa un ritardo cognitivo, difficoltà di emettere suoni etc, etc, proprio perché gli è venuto a mancare questo senso così importante.

Ho lavorato con bambini audiolesi per 12 anni, occupandomi di bimbi d’età che variavano: 18 mesi a ragazzi adolescenti. Del mio lavoro svolto ricordo dei momenti importanti, condivisi, dove l’intervento musicoterapico è stato evidente.                                                                              Ricordo C. bimbo affetto da sordità profonda bilaterale, diagnosticato non precocemente, aveva portato protesi acustiche retroauricolari, ma senza esito positivo, a 4 anni era stato sottoposto ad impianto cocleare.                                                    L’intervento musicoterapico è durato da quando C. aveva 4 anni fino a circa 7 anni. C. è stato preso in carico appena impiantato, non aveva neanche fatto il primo mappaggio, inizialmente il bimbo non era attratto dagli oggetti sonori, le uniche cose che lo interessavano erano i colori e i disegni dei bambini appesi alle pareti. Camminava sulle punte dei piedini, non emetteva nessun suono tranne il pianto.       Il lavoro svolto è stato costante , spesso faticoso, per tre anni ci siamo incontrati  2 volte a settimana e stavamo 30 minuti insieme. Utilizzavo strumenti musicali e oggetti sonori che avevano frequenze e intensità diverse. Incontro dopo incontro, ho potuto mettermi in contatto con il bambino, inizialmente ho usato le percussioni, ma il percorso musicoterapico prevedeva anche l’ascolto e i giochi con la voce. Gradualmente ho assistito ad un interesse sempre maggiore di C. nello sperimentare i suoni, riprodurli e organizzarli; il metterci in contatto lo rendeva partecipe, curioso e spesso succedeva che C. scaduto il termine si rifiutava anche di uscire dalla stanza. Con il passare sei mesi, il suo mondo interno si arricchiva sempre più, gli incontri si alternavano singolarmente a quelli con un piccolo gruppo di bambini, mentre migliorava la relazione. Quando utilizzavamo la tastiera del pianoforte C. avvertiva le vibrazioni e le frequenze, la sua voce prendeva corposità e usciva fuori un timido canto. Dopo circa 2 anni di incontri la partecipazione di C. fu totale.                             Fu durante questo periodo che la mamma  contenta mi comunicò che C. fu scelto a scuola per partecipare ad un progetto di percussioni: fu allora che ritenni opportuno anche introdurre un momento di ascolto recettivo. Il  bambino cominciava ad esprimersi , e nel suo vocabolario c’era la parola :”bello!” che utilizzava spesso.                                                                 L’ascolto variava, avevo selezionato diversi concerti che rispecchiavano la sua musicalità della durata di pochi minuti, utilizzavo musiche eseguite da un solo strumento, poi gradualmente da un trio, un quartetto e infine l’orchestra. Un giorno attenzionai in un modo particolare C., preferiva ascoltare una particolare melodia tra tutte, molto ritmata eseguita da violini e percussioni, alternata da trilli, mi accorsi che il bambino assunse un atteggiamento diverso, quasi sembrava emozionato e mi guardava intensamente per condividere quel momento.                      Il bambino aveva sviluppato il linguaggio ma non era capace ad esprimere verbalmente le proprie emozioni, cogliendo l’interesse per quella musica, pensai di trascrivere la partitura in modo comprensibile a C. Fu solo allora, alla visione dei segni in correlazione all’ascolto, che C. manifestò anche esageratamente la sua emozione. In pratica aveva avuto una risposta a ciò che aveva cercato, la relazione della sua emozione con una struttura visiva, una rappresentazione grafica dell’emozione che rispecchiava il suo ISO (4). Da allora nacque spontaneo l’interesse per l’apprendimento musicale. Questa mia esperienza spero possa essere utile a chi si occupa di musica, di audiolesi e di musicoterapia.                                                                                                        C. oggi si trova insieme ai tanti ragazzi udenti.

                                                                      “Non vedere separa l’uomo dalle cose,            non sentire separa l’uomo dall’uomo”

H.Keller  

 

 

Gabriella Di Gaetano

Musicoterapista

gabriella.digaetano @email.it      

 

 

Vedi bibliografia:

1)     Suoni. Silenzio, comunicazione vitale.

L.Matteo Lorenzetti.Ed Pro Civitate Christiana

      2)  Il corpo vibrante

            Giulia Cremaschi.Ed scientifiche Ma.Gi 20/03/2001  

2)     L’interazione madre- bambino: oltre la teoria dell’attaccamento.

3)     H.Rudolfh Schaffer. Ed Franco Angeli

4)     Manuale di musicoterapia contributo alla conoscenza del contesto non verbale.
Ronaldo Benenzon Ed Feltrinelli 1/1/1998

                                                                                                                                                

 

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