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CATARRATTO: FINORA NULLA D’ECCEZIONALE
02 Apr 2012 19:57
Il catarratto è il vitigno maggiormente coltivato in Sicilia. In Italia, è secondo, tra i vitigni a bacca bianca, solo al trebbiano per numero di ettari coltivati. È considerato uno fra i più produttivi vitigni del mondo e questo chiarisce come mai sia così diffuso, nonostante non esistano, almeno fino a oggi, vini da catarratto che possano essere definiti oltre il termine “piacevole”.
La sua grande diffusione si deve alla sua resistenza alle malattie e agli eventi climatici, alla sua grande abbondanza produttiva e alla sicurezza di ottenere comunque a fine vendemmia un raccolto abbondante. Altro da questo vitigno finora non si è ottenuto.
In passato, dove giustamente il coltivatore dava maggiore peso al quantitativo, piuttosto che alla qualità del prodotto, era giustificata la sua diffusione, soprattutto nelle zone escluse dalle grandi vie commerciali e dove si coltivava l’uva perla propria sussistenza. In zone come Marsala, però, che in passato avevano goduto di una enorme crescita commerciale grazie alla viticoltura, questa diffusione del catarratto non può essere giustificata, se si tiene in conto che il Marsala fu in passato il vino italiano più pregiato e conosciuto nel mondo, destinato nella sua maggior parte all’esportazione, soprattutto verso l’Inghilterra.
In Sicilia si verificò il processo inverso rispetto alle altre zone vitivinicole d’importanza mondiale. I primi vini di Bordeaux, per esempio, erano molto diversi rispetto a oggi, ma soprattutto erano molto lontani dai canoni di qualità che oggi esistono in questa zona francese. Con l’avvio delle esportazioni verso il mercato inglese e, quindi, non più un prodotto destinato all’autoconsumo, si verificò un processo di miglioramento qualitativo progressivo, che è giunto fino a quello che viene considerato oggi Bordeaux, una delle migliori zone vitivinicole del mondo, i cui vini sono tra i più quotati nel mercato. A Marsala, invece, man mano che cresceva il suo successo internazionale e il grillo sostituiva progressivamente il catarratto nella composizione del vino, si moltiplicarono i produttori, i quali, nati da poco e dovendo fare concorrenza ai nomi blasonati del Marsala, coinvolsero nuovamente in maniera massiccia il catarratto a scapito del grillo, in modo da produrre di più e a prezzi più bassi. Non esistendo un vero disciplinare, la produzione del Marsala si è allagata in maniera smisurata ed è declinata in maniera irreversibile, coinvolgendo anche i nomi storici, che per fare fronte alla concorrenza si sono adeguati alla situazione, tornando a coltivare il catarratto. Qui non si trattava certamente di coltivazione per sussistenza, ma bensì di una furbata, che ha compromesso notevolmente l’immagine del Marsala nel mondo. L’errore dei primi produttori di Marsala fu quello di non correre ai ripari, quando sorsero i primi prodotti qualitativamente scarsi, come invece fecero a Bordeaux per difendere il proprio prodotto dalle frodi.
Ora, questo processo di degrado qualitativo ha visto la percentuale di grillo scendere sempre di più a scapito di altri vitigni più produttivi e sicuramente più insignificanti, facendosi scudo con la tradizione, poiché il Marsala effettivamente nasceva da catarrattoe da inzolia.
Sarebbe un errore, però, condannare senza riserve il catarratto. Un vitigno ritenuto adatto a dare grandi vini, può dare un vino banale se coltivato in un territorio non adatto o se coltivato male o per altri motivi. Lo stesso può succedere con i vitigni cosiddetti minori, che in determinati territori sono capaci di dare vini inaspettati. Emblematico è il caso del Trebbiano d’Abruzzo di Valentini, che, quando uscì in commercio, erano in pochi a credere possibile che fosse prodotto da una delle uve considerate più insulse al mondo. Non è da escludere che il catarratto possa anch’esso trovare prima o poi delle condizioni adeguate per dare risultati di tutto rispetto. Alcune cantine si sono cimentate nel tentativo di produrre un vino di maggiore spessore da questo vitigno, ma sarebbe disonesto nascondere che i tentativi fatti fino ad oggi sono stati deludenti. Certo sono prodotti più interessanti dei vari vini ordinari da catarratto, ma effettivamente a conti fatti conviene, sia per il prezzo sia perle soddisfazioni organolettiche, puntare su un grillo di un certo spessore. Questo perché il catarratto, quando viene coltivato e vinificato con maggiore cura, in genere presenta un quadro lievemente erbaceo e floreale nei primi mesi dopo la vinificazione, per poi virare su note iodate e di frutta matura, tipiche nel grillo, ma che in questo hanno maggiore intensità e profondità.
(Giuseppe Manenti)
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