CARMELO AREZZO SI INSERISCE SUL DIBATTITO RIGUARDANTE I PUBBLICISTI

Il dibattito sulle professioni nel nostro Paese, raccolto da Ragusa Oggi in funzione della nostra preziosa (?) attività di giornalisti (pubblicista dal gennaio del 1978, credo di avere qualche titolo per intervenire) prende lo spunto da tutta una serie di privilegi che gli ordini professionali in genere, compreso ed abbondantemente il nostro, hanno nel tempo individuato, raccolto e coltivato. Non è quindi l’esigenza corretta e fuori discussione di salvaguardare competenze, capacità e professionalità alla base del dibattito oggi in corso nel Paese, ma quella, assai meno peregrina in tempi di crisi, di smontare privilegi e di evitare che tra le caste che dai giornali proviamo ogni giorno, chi più chi meno, a smontare ci resti imbrigliata anche la nostra. E certamente non è la casta da scardinare quella dei tanti giovani che si impegnano con generosa volontà e molto spesso con grande capacità a inventarsi un mestiere, nè quella di chi offre con generosa disponibiltà spazio e voce per esercitare una legittima aspirazione a farsi protagonisti della informazione.

Ma oggi come ieri (ripenso ai miei tempi lontani) quello che non deve accadere, anche se oggi è estremamente più facile che accada per la ormai avvenuta moltiplicazione degli organi di informazione, è far passare per sicuro sbocco professionale (cioè il proprio lavoro principale dal quale ricevere il reddito che ti fa vivere, per capirci) l’attività giornalistica da pubblicista. Il pubblicista è chi, mentre ha un altro lavoro, fa attività giornalistica perchè ci crede, perchè ha passione, perchè ha un minimo di tempo, perchè ha un editore che può solo in questo modo provare ad avere un canale di informazione a rete che copra un territorio di riferimento ed un ventaglio di materie e di argomenti il più vasto possibile, non gestibile per ovvi motivi in primis economici con i giornalisti professionisti. I pubblicisti hanno fatto la storia esclusiva della informazione di periferia delle province italiane dal dopoguerra ad oggi e forse nel clima esaspetato del nostro tempo ce ne stiamo dimenticando. Altra cosa è poi il professionista che pubblica i suoi interventi informativi legati alla sue primarie competenze professionali (il medico o l’avvocato o il bancario) nelle materie e sugli argomenti per i quali lavora ogni giorno.

Per questi non c’è bisogno di iscrizione all’ordine nè nessun altra certificazione; ma è sempre stato così. Per tutti gli altri, per l’informazione che è materia delicata, si mantenga pure un ordine professonale che riconosca a professionisti e pubblicisti capacità e qualità e competenze anche in modo responsabilmente autocritico (il che è accaduto assai raramente a giudicare dall’italiano utilizzato da tanti pubblicisti, ed ahimè professionisti) ma lo stesso ordine abbia la responsabilità e l’orgoglio di chiudere con la logica, diventata ormai esasperante nei confronti della gente e dell’opinione pubblica, dei propri privilegi. A Roberta che non conosco ma che mi sembra scriva molto bene ed abbia un suo stile professionale ammirevole, gli auguri più affettuosi di farcela, perchè solo coltivandoli con passione e caparbietà i sogni possono diventare realtà.

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