Carcere di Ragusa, “Nessuno tocchi Caino” accende i riflettori su diritti e rieducazione

Le condizioni del carcere visto come comunità, il rispetto dei diritti di detenuti e “detenenti”, questo lo scopo della visita di “Nessuno tocchi Caino” all’interno della casa circondariale di contrada Pendente a Ragusa e di un convegno organizzato in collaborazione con la Camera penale degli Iblei, l’Ordine degli avvocati e l’Aiga. E ci sono delle iniziative che saranno promosse, annunciate dal neo presidente della Camera penale degli iblei, Valerio Palumbo, al termine del convegno di ieri pomeriggio: l’impegno per farsi promotori del recupero e della riconsegna del teatro interno al carcere, che possa evidenziare la valenza terapeutica dell’arte nel recupero sociale e un appello al Provveditorato regionale all’Amministrazione penitenziaria affinché autorizzi la consegna di farina ai reclusi del carcere di Ragusa. E il perché della farina è un preciso riscontro ad una richiesta dei detenuti. Ma procediamo con ordine.  

Il carcere di Ragusa? “Di livello medio alto” 

Sergio D’Elia, segretario di ‘Nessuno tocchi Caino’ nel convegno nel pomeriggio di ieri presso il Tribunale di Ragusa, ha definito la struttura carceraria di Ragusa di livello “medio alto”. “Noi abbiamo in mente la comunità carceraria – ha detto -, direttore, polizia penitenziaria, mediatori, medici, assistenti sociali”. e ha riferito della visita mattutina al carcere, anticipata da una riunione con il direttore del carcere e con il comandante della polizia penitenziarie. Prima il reparto isolamento, che D’Elia ha definito “un’area pulita, areata, colorata e luminosa, rispettosa dei diritti umani dei detenuti e dei diritti sindacali di chi ci lavora”. Poi il passaggio alla sezione ordinaria. 

La farina e le privazioni. 

Ed è dalla visita alla sezione ordinaria in cui i detenuti stanno con le celle aperte dalle 8 alle 19, che sono arrivate alcune delle testimonianze dei relatori (presenti alla visita); tra questi, Nanni Frasca, presidente regionale e provinciale di Aiga. Ai detenuti è stato chiesto di rappresentare i loro problemi. “Ci si aspettava di sentire la frustrazione della privazione della libertà, del vedere il sole attraverso le grate, di essere costretti a condividere gli spazi con uno sconosciuto e invece…hanno lamentato il fatto che sia loro vietato ricevere la farina”. Pare che per questo, la Sicilia sia un caso unico nel panorama nazionale, ma quei detenuti vorrebbero cucinare, preparare impasti e creme per i dolci che altrimenti è un lusso comprare “da fuori”.  E poi la difficoltà a poter fare un elettrocardiogramma per frequentare la palestra che, in tal modo viene inibita. “Ma pensiamo che pagare il debito con la giustizia senza farina o senza palestra ti renda una persona migliore? Al netto della sensibilità sui diritti dei detenuti, una società che rinchiude affama e svilisce un persona in gabbia, pensa che una volta aperta quella gabbia quella persona ne esca migliore?” domande retoriche che si concludono con una constatazione. “Il dato di fatto è che senza rieducazione – ha detto Frasca -, la percentuale di recidiva è enorme”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche gli altri interventi che si sono succeduti. Biagio Giudice, del direttivo della Camera penale degli Iblei, ha relazionato sui sistemi di carcerazione, le misure alternative e di rieducazione a confronto tra Italia e stati esteri. 

Le misure alternative come avvio del cambiamento 

Poi l’intervento di Rosaria Ruggieri dirigente dell’Uepe – l’ufficio per l’esecuzione esterna delle pene – che ha posto l’accento sul reinserimento sociale. Per la dirigente servono risorse e strumenti perché molti più successi si concretizzano nella esecuzione penale esterna piuttosto che interna, con programmi tagliati su misura per chi ne beneficia, “perché il cambiamento non è repentino, si costruisce”. Ma serve un cambio culturale: le esecuzioni esterne ancora non vengono percepite come una esecuzione effettiva di pena certa, “la misura alternativa, invece è una pena certa e come tale deve essere considerata, con le sue prescrizioni e previsioni che ci permettono di vedere la persona reale” ha detto la dirigente Uepe. Poi la testimonianza di Stefania Pagliazzo, psicologa del carcere di Ragusa, che ha parlato della deprivazione sensoriale (“per anni un detenuto non tocca una pianta o una posata in metallo”) della infantinizzazione del linguaggio, dell’elevato utilizzo di psicofarmaci e di farmaci antinfiammatori, segno di un disagio mentale che si ripercuote anche sul fisico. Anche Elisabetta Zamparutti, tesoriera di “Nessuno tocchi Caino”, ha posto l’accento sulla pena detentiva che di fatto diventa una “pena corporale nella deprivazione della sfera sensoriale, affettiva, espressiva, lavorativa, nella non partecipazione ad attività di studio e di movimento” e all’importanza “che quelle porte che fa impressione si chiudano dietro di noi, non si chiudano davanti”, passando “dal contenimento all’afflizione”. Ha chiuso il convegno Luigi Stamilla consigliere Aiga Rg, che ha riportato alcune delle analisi contenute nel “Libro bianco sulle carceri” promosso dall’Osservatorio nazionale Aiga sulle carceri, di cui ha fatto parte. Il convegno è stato preceduto dai saluti della presidente dell’Ordine degli avvocati di Ragusa, Emanuela Tumino e dal coordinatore dell’Ufficio Gip Ivano Infarinato che ha portato i saluti del presidente del Tribunale, Francesco Paolo Pitarresi. 

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