BAMBINI SCHIAVI

Iqbal Mashi nacque in Pakistan da una famiglia poverissima.

A soli 4 anni fu venduto dai genitori a una fabbrica di tappeti e fino a 10 anni rimase incatenato a un telaio. Il padrone pretendeva 10 mila nodi al giorno anche a costo di farlo rimanere accucciato 12 – 13 ore ininterrotte a respirare pulviscolo di lana che danneggiava i polmoni senza rimedio.

Iqbal si ribellò alla sua schiavitù e incominciò a denunciare le condizioni di vita cui erano costretti milioni di suoi fratelli.

A 12 anni ricevette un premio internazionale per il suo impegno. Era diventato un personaggio scomodo per chi si arricchiva sul lavoro dei bambini: la mafia dei tappeti lo condannò a morte.

Fu ucciso il 16 aprile 1995 mentre tornava a casa in bicicletta.

Piccoli schiavi con le loro mani piccole, fragili e agili potevano eseguire meglio i gesti richiesti dai nuovi macchinari nelle fabbriche  sin dalla prima rivoluzione industriale e i loro corpi più esili di quelli adulti erano meglio impiegabili nei cunicoli delle miniere; inoltre, essendo più docili e indifesi, risultava estremamente semplice imporre loro regolamenti severissimi e pesantissimi orari di lavoro. Solo dopo il 1840 si intervenne sul lavoro mino­rile con le prime leggi.

Oggi, all’inizio del ventunesimo secolo, nonostante il progresso della tecno­logia che consente miglioramenti nei modi di lavorare mai sperimentati prima, il lavoro dei bambini e delle bambine non solo esiste ancora, ma è largamente diffuso. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO1), nel mondo lavorano almeno 250 milioni di bambini e bambine di età com­presa tra i 5 e i 14 anni, di cui circa 120 milioni a tempo pieno: l’Asia è la regione con la percentuale più alta di bambini lavoratori, pari al 61% del totale mondiale, seguita dall’Africa (32%) e dall’America Latina (7%) .

Il problema dello sfruttamento del lavoro minorile è ormai evidente, agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, in tutta la sua gravità e vastità. La grande attenzione che questa tematica sta ricevendo a livello inter­nazionale è però legata non solo alle variabili numeriche e statistiche, ma anche alle condizioni di vita e di lavoro, ai diritti umani e alle situazio­ni di vita oggettiva dell’infanzia.

Quantificare con precisione il lavoro minorile nel mondo è assai difficile: infatti coloro che utilizzano manodopera infantile difficilmente lo dichia­rano.

Questo è dovuto, in primo luogo, al fatto che in tutti i paesi del mondo esistono leggi nazionali che, benché spesso inapplicate, proibiscono il lavoro dei bambini e prevedono sanzioni per chi contravviene al divieto. Inoltre, impiegando giovani lavoratori in nero, i datori di lavoro riducono i costi di produzione e aumentano i profitti ma si pongono nel campo dell’illegalità fiscale, oltre che giuridica.

Come se non bastasse, molti governi, per ragioni di prestigio, fingono che il problema non esista, op­pure ne sottostimano l’esistenza, non avendo i mezzi per rilevarlo.

Un elemento da non sottovalutare è la dovuta distinzione tra lavoro forzato, quando il bambino viene allontanato dai genitori e ridotto in schiavitù e lavoro consenzien­te, quello cioè svolto da un minore in accordo con i genitori per guada­gnare qualcosa in supporto al lavoro familiare. E non solo tutte le forme di schiavitù e pratiche analoghe quali la servitù per debiti vanno assolutamente condannate per non parlare del reclutamento di minori nelle forze armate e il loro impiego nei conflitti; l’ingaggio di minori a fine di prostituzione e di produzione di materiale pornografico, l’impiego di minori in attività illecite: e purtroppo oggi ne sono vittime oltre 8,4 milioni di bambini e bambine.

 

 

 

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