Ancora senza un nome, il giovane morto a bordo della Sea Watch 5

Il diritto a una identità. E’quanto richiede l’Asgi, l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione. Lo fa scrivendo una lettera, assieme all’organizzazione non governativa Sea Watch, per rappresentare a Prefettura, Questura e Procura di Ragusa la necessità di attivare tutte le procedure utili alla identificazione del giovane, di circa 18 anni, morto a bordo della Sea Watch 5. Il ragazzo, che ancora non avrebbe una identità, era stato preso a bordo, dalla nave ong, in condizioni già critiche nel corso di una operazione di soccorso che aveva portato in salvo a Pozzallo 51 persone. Il giovane era deceduto a bordo della nave, nonostante i tentativi di salvargli la vita. Era morto probabilmente per inalazione da idrocarburi; era stato trovato già svenuto sul fondo dell’imbarcazione soccorsa dalla ong. Giovanissimo, forse originario del Bangladesh ma che non avrebbe ancora un nome. Sbarcato il corpo, era stata effettuata prima una ispezione cadaverica dal medico legale Giorgio Spadaro e poi, a distanza di qualche giorno, la Procura di Ragusa ha disposto venisse effettuata l’autopsia incaricando un altro medico legale, Maria Francesca Berlich che ha già svolto le operazioni.

La necessità di dare un nome ai corpi

Torniamo all’Asgi. Ciò che nella lettera si auspicano i sottoscrittori, è che, venga prelevato il Dna e rilevate le impronte digitali, e che si proceda anche alla repertazione degli oggetti personali della vittima e che si dia evidenza ad ogni altro segno particolare possa emergere (ad esempio tatuaggi e cicatrici), proprio per favorire una identificazione anche a distanza di tempo. Una volta completati gli accertamenti, Asgi e Sea Watch, chiedono che gli stessi vengano fatti confluire nel registro nazionale dei cadaveri non identificati, istituito presso l’Ufficio del Commissario straordinario del governo per le persone scomparse, per facilitare le procedure di ricerca da parte dei famigliari. E poi la sepoltura, in un luogo che sia anch’esso certo e identificabile anche dopo tempo, sepoltura che si possa effettuare rispettando il rito religioso, se c’è possibilità di averne contezza magari da chi viaggiava con lui.

La banca del Dna,  e il naufragio di Lampedusa

L’istituzione di una banca del dna per i corpi non identificati divenne una emergenza dopo il tremendo naufragio al largo di Lampedusa del 3 ottobre 2013: ci furono 366 morti, una ventina i dispersi, e molti corpi erano irriconoscibili. E il dna poteva dare delle certezze altrimenti impossibili. Ne seguì un decreto del Presidente della Repubblica che nel 2016 istituì appunto la banca del dna per “prelevare, gestire e tipizzare” il dna dai cadaveri delle persone non identificate. Ma non sempre vengono effettuati i prelievi.

La lettera dell’Asgi è un memento, una richiesta di attenzione nei confronti di chi non ha ancora un nome, di chi sta cercando quel suo congiunto e non ne ha notizie e, nel caso in cui si possa giungere alla identificazione del cadavere, e alla individuazione dei famigliari, si chiede inoltre che vengano agevolate le procedure e garantite le coperture economiche in caso di trasferimento della salma. 

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