ALUNNI ALLA MOSTRA

 

Mostra di sculture del compianto Biagio Miceli alla sala Borsa della Camera di commercio di Ragusa. Sono di servizio come guardiano per conto dell’associazione “L’occhio aperto”. Arriva una classe di scuola media accompagnata da una prof. che mi chiede del prof. Giorgio Flaccavento curatore della mostra in quanto esperto d’arte nonché cognato dello scultore. Dico che verrà a momenti. La prof. fa un’espressione di leggero disappunto, non assume il ruolo di guida e si limita a raccomandare ai ragazzi, in libera circolazione, di non toccare le opere.

Prendo allora l’iniziativa e invito i ragazzi a fare, lentamente, un giro attorno alle opere, di osservarle e di registrare le impressioni, le emozioni e tutto quanto passa loro per la testa. I ragazzi si dispongono in fila, osservano, alcuni mi domandano: «Questo che significa? E quest’altro che vuol dire?» Spiego che non c’è un significato preciso, e comunque non è obbligatorio trovarlo, qua si è liberi di dire la propria impressione e domando: «A te che te ne pare?»  Li sollecito, qualcuno dice qualcosa, altri seguono, altri fanno sorrisetti un po’ di scherno un po’ di burla, comunque il gruppo è abbastanza compatto, c’è abbastanza attenzione in un clima di simpatica accoglienza. Noto due ragazzi appoggiare il gomito sui cubi di legno che sorreggono le sculture, la maggior parte di terracotta. Non proibisco il gesto ma lo mimo e dico: «Siamo moribondi?!». I due sorridono e si raddrizzano ma ancora un’altra appoggia il gomito, in effetti i cubi ad altezza di gomito sono invitanti. Mimo ancora e rivolto al gruppetto a fianco a me: «Un’altra moribonda!». Il messaggio passa e nessuno s’appoggia più. Continuo nella chiacchierata libera attorno alle sculture. Vedo la prof. che appoggia la mano su uno dei cubi. Sorvolo. Ci soffermiamo su una scultura composta di due grandi blocchi, su uno c’è una donna nuda seduta e nell’altro, alle sue spalle, in un angolo, una palla e nell’altro una buca semisferica che sembra aver contenuto la palla. Un ragazzo legge il titolo: Silenzi. Qualche ragazzo domanda cosa vuol dire la palla e la buca. Suggerisco di non cercare il significato ma di guardare l’opera, di entrare in comunicazione con essa e avvertire, se lo si avverte, il silenzio o cos’altro. La prof.: «Il silenzio, proprio quello che non fanno loro, mai.» Alcuni ragazzi contestano l’affermazione, ne nasce una discussione e alla fine la prof. ammette che in effetti loro sono abbastanza bravi mentre le altri classi sono proprio impossibili.

Arriva il prof. Flaccavento assieme ad un’altra classe di un’altra scuola media accompagnata da Francesco Gurrieri prof. d’italiano appassionato cultore di archeologia. Con i due prof. ho un legame decennale di reciproca stima, ci salutiamo cordialmente, Flaccavento prende a parlare ed io rientro nel mio ruolo di guardiano. Uno dei nuovi ragazzi, coll’aspetto da bulletto, appoggia il gomito sul cubo. Con lo sguardo lo invito a togliere il gomito. Con lo stesso mezzo mi risponde: «Non lo tolgo e tu non puoi farmi proprio un bel niente». Incasso il colpo. Si va avanti, il Gurrieri si sofferma su Silenzi, opera che il Miceli ha donato alla loro scuola dove per anni aveva insegnato.

La prima classe con la prof. va via mentre la discussione continua in un clima abbastanza sereno e con una tollerabile disattenzione da parte della maggior parte dei ragazzi. Coinvolto in questo clima cordiale e vivace mi rivolgo al Guerrieri: «Se mi permetti e se i ragazzi sono d’accordo, vi regalo il racconto del duello Ettore e Achille». Accettano e mi avvio al pianerottolo sopra i primi quattro gradini che avevo scelto come pulpito. Nei gradini c’è il bulletto seduto con delle ragazze, queste si spostano mentre lui, con lo sguardo, mi dice: «Non è sicuro che decida di alzarmi». Io, con sguardo e corpo, gli rispondo: «Se non ti alzi e in fretta ti stritolo». Si alza prontamente e, dopo una breve introduzione, inizio a recitare. Il pubblico è coinvolto anche se il bulletto col suo gruppo, ci prova ad estraniarsi e a tentare qualche disturbo. Un attore narratore deve coinvolgere anche con lo sguardo il pubblico e io punto molto sul bulletto e la sua cricca. Dopo l’applauso e i complimenti forti e sentiti del Guerrieri, il bulletto mi affianca e mi chiede scusa dicendomi che le ragazze lo distraevano. Gli metto, con affetto, il braccio sulle spalle e: «Uno come te, se vuole, non si fa distrarre dalle ragazze» «Sì, certo» «Allora non cercare scuse, l’importante è che ci siamo capiti e apprezzo molto il tuo gesto di avvicinarmi e parlarmi». Gli do una stretta di affettuosa stima e con un sorriso ci salutiamo.  

Ragusa, 11 gennaio 2008

                                                                                   Francesco Schembari

 

 

Pubblicato sul numero 33/2008 “BiancoNerodella rivista on line www.operaincerta.it

 

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