È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
AL PRESIDENTE REGIONALE DELLA PICCOLA E MEDIA INDUSTRIA DI CONFINDUSTRIA
09 Mar 2014 06:23
Dopo anni difficili, dopo nove trimestri di recessione, si intravedono in Italia i primi timidi segnali di ripresa: per coglierla basterà restare fermi ad aspettare? per dirla con De Filippo basterà la politica economica dell’Adda passà ‘a nuttata . Basterà tenere i conti sotto controllo e limare un po’ il cuneo fiscale? Oppure serve una manovra non solo economica, ma di posizionamento strategico: scegliere un futuro per l’Italia, indicare al Paese qual è la sua missione, il suo posto nel mondo? L’Italia saprà voltare pagina se sarà in grado di affrontare i suoi mali antichi, che vanno ben oltre il debito pubblico e che proprio la crisi ha reso ancora più opprimenti: le diseguaglianze sociali, l’economia in nero, quella criminale, il ritardo del Sud, una burocrazia spesso persecutoria e inefficace. Se saprà rilanciare il mercato interno, stremato dalla recessione e dall’austerità, e fare tesoro della crisi per cogliere le sfide, e le opportunità, della nuova economia mondiale. L’Italia deve scommettere sull’innovazione, la ricerca, le nuove tecnologie, per rinnovare il suo sapere fare, la vocazione imprenditoriale e artigiana, la creatività e la bellezza di cui è ricca. L’Italia, insomma, deve fare l’Italia. E in questo cammino ha a disposizione uno strumento prezioso: la green economy.
Il Paese, in questo campo è già in movimento. Oggi nell’intera economia italiana (sia privata che pubblica) gli occupati “verdi” – i cosiddetti green jobs – sono più di 3 milioni. Accanto a questi possiamo annoverare altre 3 milioni e 700 mila figure ‘attivabili’ dalla green economy: occupati con le carte in regola per lavorare in settori e filiere green. Oggi green economy significa innovazione: il 30,4% delle imprese del manifatturiero che investono in eco-efficienza ha effettuato innovazioni di prodotto o di servizi, contro il 16,8% delle imprese non investitrici. E significa redditività: il 21,1% delle imprese manifatturiere eco-investitrici ha visto crescere il proprio fatturato nel 2012, tra le non investitrici è successo solo nel 15,2% dei casi.
Ma la green economy è anche la risposta migliore a una nuova e crescente domanda globale di valori e di equità. Stiamo scoprendo una nuova sobrietà, indotta dalla debolezza dell’economia, certamente, ma anche dalla consapevolezza sempre più diffusa che stili di vita – e sistemi economici – costruiti sul consumo senza limiti, sul debito e sulla finanza senza regole non possono durare a lungo. Non producono giustizia. E sono meno appaganti. Si riduce lo spazio per i prodotti senz’anima, avanzano quelli con la coscienza pulita e una storia da raccontare. Il consumo diventa consapevole, partecipato più che subito. Nella dimensione globale, il locale non solo non arretra, ma si rafforza. Ne è una dimostrazione il balzo in avanti della spesa a chilometro zero, che ha raggiunto il fatturato record di 3 miliardi di euro, con 7 milioni di italiani che fanno regolarmente acquisti nei mercati degli agricoltori: perché costa meno, e perché con la spesa si portano a casa la qualità e il rapporto tangibile col territorio. Niente a che vedere con la decrescita, anzi: non è la rinuncia a produrre e consumare, ma è la scelta di farlo nel rispetto dell’ambiente: riducendo non il benessere ma il consumo di energie, materie prime, territorio. La green economy è la ricetta per un avvenire più giusto e desiderabile: dalla generazione diffusa (fino all’autoproduzione) di energia pulita, alle aree industriali inquinate che vengono riconvertite grazie alla chimica verde; dalla salute sui luoghi di lavoro all’inclusione dei giovani (il 42% del totale delle assunzioni under 30 programmate nel 2013 è stato fatto proprio da quel 22% di aziende che fanno investimenti green). Dalla qualità della vita nelle città alle abitazioni, che ristrutturate con attenzione all’eco-efficienza diventano anche più confortevoli e ci fanno risparmiare (come sa bene quel milione e quattrocentomila famiglie che ha approfittato della misura anticiclica di gran lunga più importante attivata in questi anni, l’ecobonus per le ristrutturazioni, appunto).
E’ un modello economico che premia chi investe su conoscenze, nuove tecnologie, capitale umano, innovazione rispetto a chi compete sul costo del lavoro e sui diritti
Un paradigma produttivo che sembra cucito su misura per un paese come il nostro, a corto di tutte le materie tranne che di creatività, intelligenza e bellezza. Scorrendo l’elenco dei settori che investono green con più convinzione, troviamo proprio quelli trainanti del made in Italy, quelli più tradizionali e quelli di più recente acquisizione: il comparto alimentare, il legno-mobile, il settore della fabbricazione delle macchine ed attrezzature, e poi tessile, abbigliamento, calzature e pelli .
Abbiamo di fronte un ritratto che sconfessa certi luoghi comuni sull’Italia, certe letture miopi che ci dipingono – da ultimo lo ha fatto la Commissione Europea – come un paese smarrito, a corto di fiato e di competitività, all’inseguimento delle economie emergenti. L’Italia non è una delle vittime della globalizzazione, anzi: ha profondamente modificato la sua specializzazione internazionale, modernizzandola e ‘sincronizzandola’ con le nuove richieste dei mercati. Proprio grazie alla green economy abbiamo saputo costruire valore aggiunto in settori – quelli tradizionali del made in Italy: il tessile-abbigliamento, le calzature, i mobili .E abbiamo creato nuove specializzazioni, come nella meccanica – oggi di gran lunga il settore più importante per surplus commerciale con l’estero – nei prodotti innovativi per l’edilizia, nei mezzi di trasporto diversi dagli autoveicoli, nella nautica e nella chimica-farmaceutica. Oggi la Cina, la fabbrica del mondo, produce con macchinari italiani. Perché sono più flessibili e più efficienti nei consumi: E così proprio la Cina, che avrebbe dovuto fagocitarci, è il primo mercato estero del meccano-tessile tricolore. I bambini di Pechino, quelli di Shangai come quelli di Coney Island giocano su giostre italiane: perché siamo i più creativi, le nostre sono le giostre più belle e le più divertenti. E consumano meno energia di tutte le altre. Perché, grazie alla ricerca sui nuovi materiali, arrivano a pesare anche il 40% in meno di quelle tedesche, e a consumare fino ad un decimo delle altre.
La green economy si sta dimostrando l’infrastruttura immateriale che dà forza al nuovo made in Italy. Che dà nuova energia alle tradizioni produttive antiche, valore al capitale umano e ai territori, che per vocazione sposa bellezza, efficienza, ricerca e produzioni sartoriali. In Italia la green economy incontra la frontiera della qualità. E’ nel distretto del mobile di Livenza, che si producono le cucine più sostenibili – progettate e realizzate sottraendo energia e materiali, con un occhio a quando verranno dismesse: i materiali sono separabili, riusabili e riciclabili – ma sono anche le più belle e le più innovative: e per questo trovano clienti in tutto il mondo. E’ nel distretto di Sassuolo, dove si dettano le tendenze globali nel mondo delle piastrelle, da quelle antibatteriche a quelle fotovoltaiche a quelle sottilissime di 3 millimetri E’ qui che vengono progettati i lampioni solari a led che illuminano le piazze disegnate dai più grandi architetti, come le lampade che hanno fatto la storia del design trovando nuova vita grazie alle bioplastiche prodotte con gli scarti di lavorazione dell’industria alimentare. Sono italiane le esperienze più avanzate nel campo della chimica verde e dei biocombustibili: realizzati partendo da coltivazioni dedicate in aree marginali o dai materiali di scarto di quell’agricoltura cui dobbiamo oltre 4mila specialità tradizionali regionali, 255 Dop, Igp, Stg, e che, con quasi 50mila operatori e 1,2 milioni di ettari, è uno dei leader mondiali del biologico. E’ qui in Italia che la ricerca sulle fibre tessili riciclate, tinte magari utilizzando colori naturali non inquinanti e a km zero, sposa la moda e diventa tendenza.
Tanta virtù non deve certo farci dimenticare gli annosi problemi del Paese. Né dobbiamo dimenticare che se vogliamo che l’Italia del futuro assomigli a questa Italia che stiamo raccontando, se vogliamo che questa nuova economia diventi pervasiva contagiando tutto il sistema, dobbiamo sostenerla. Quantomeno liberarla degli ostacoli che incontra lungo il cammino. Con una politica industriale che faccia perno sulla valorizzazione dei nostri pilastri – manifattura, turismo, cultura, agricoltura – e indichi proprio nella sostenibilità la via da seguire. E con una politica fiscale che stia dalla parte della green economy: che sposti la tassazione dal lavoro verso il consumo di risorse, la produzione di rifiuti, l’inquinamento. Che incentivi la ricerca, l’ICT e l’innovazione, la formazione, l’inclusione sociale e il contributo dei giovani e delle donne alla società e all’economia italiane. Che sostenga il credito e gli investimenti per competere nell’economia reale a scapito di quelli per fare speculazione sui mercati finanziari.
E’ Ragusa oggi in grado di percorrere questa strada?
Conosciamo tutti i limiti della nostra città, una burocrazia tanto estesa quanto spesso inefficiente, una politica finora inconcludente e spesso ignorante, le diseguaglianze nella società, l’illegalità diffusa e gli scarsi investimenti nella ricerca e il deficit di infrastrutture, a partire da infrastrutture per il futuro, come la banda larga.
Se però guardiamo la nostra città con occhio attento, con curiosità, con simpatia, con affetto vediamo enormi energie da mobilitare. Oggi la vecchia politica, le istituzioni, non sembrano in grado di produrre una visione comune, di mettere in movimento la comunità locale , ed è per questo che non bastano manifestazioni come la “vertenza Ragusa”. E’ necessario darsi da fare tutti e subito, senza aspettare l’arrivo del principe azzurro che forse non arriverà, abbandonando un nostro vizio antico quello di lamentarsi sempre puntando soprattutto su eco innovazione e infrastrutture verdi.
Napoleone diceva di vincere le battaglie grazie anche ai sogni che i suoi soldati facevano di notte. Anche Ragusa ha un grande bisogno di una visione comune, di un sogno. Il sogno di una città che affronta insieme un presente difficile e le sfide del futuro senza perdere la propria identità, la propria anima. Facendo anzi di questo un proprio punto di forza. La green economy può essere parte importante di questa visione, di questa avventura comune. Anzi lo è già in parte . Nel rapporto 2013 Greenitaly a cura di Unioncamere la provincia di ragusa risulta al primo posto in Italia per incidenza percentuale sul totale delle assunzioni non stagionali di lavori green in senso stretto, il 30,4%. Sviluppo e sostenibilità ambientale, considerate fino a ieri in antitesi, si stanno rivelando quindi due facce di quella stessa medaglia che è la competitività di un “sistema Paese”. Ragusa ha tutte le carte in regola per partecipare a pieno titolo a questa gara globale: le bellezze naturali, il paesaggio, un patrimonio storico, artistico e culturale, unico al mondo, talento, fantasia, creatività.
E’ su queste basi che si deve costruire un nuovo progetto di rilancio e di sviluppo per la provincia, perché dalla crisi non se ne esce con lo stesso modello di sviluppo con cui ci si è entrati.
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