ABOLIAMO LE PROVINCE? – 2

Abbiamo visto nell’articolo precedente la situazione attuale delle province in Italia e della proposta, proveniente da più parti, di abolizione delle province o, soprattutto per quanto riguarda la Sicilia, di abolizione di alcune di esse (tra cui la nostra).
    La motivazione ricorrente è la necessità di risparmiare risorse in un momento di crisi economica. Io sospetto che la proposta dell’abolizione delle Province sia demagogia populista allo stato puro. Perché le proposte vengono presentate all’improvviso, quale frutto di una fantasia politica di qualcuno, senza che ci sia stato, o sia mostrato, uno studio serio di fattibilità economica che dimostri quali siano gli effettivi risparmi, considerando che i servizi prestati attualmente dalle province qualcuno li debba continuare a svolgere.
    Le province hanno alcune competenze di rilievo (dalla viabilità’ alle politiche del lavoro, alla programmazione territoriale, all’edilizia scolastica), quindi possiamo anche abolire le province, dopo di che dobbiamo decidere a chi far fare le cose che facevano le Province.
    Dispiace dirlo, ma è la realtà, purtroppo la nostra classe politica è ignorante, sicuramente più ignorante del tasso medio di cultura della popolazione; questo fa sì che  la progettazione politica è spesso inopportuna, estemporanea o comunque inidonea a risolvere   i problemi della società.
    L’idea della eliminazione delle province è un esempio tipico di tale comportamento, così come di tutti i tagli economici “lineari”: eliminiamo le province (ma per risparmiare si potrebbero eliminare gli ospedali, i tribunali, le scuole, e così via), tagliamo un bilancio di una percentuale fissa e così il problema è risolto.
    Un ragionamento del genere è tipico di chi è incapace di fare delle serie analisi economiche (che consentirebbero di individuare le aree degli sprechi da eliminare e le aree dove invece è opportuno incrementare gli investimenti) e sociali (per capire quali spese sono improduttive dal punto di vista sociale e quali invece utili).
    Non essendo nostro compito di fare ciò che la politica non sa fare, ci soffermeremo a fare soltanto alcune considerazioni per esemplificare quanto detto fino a questo punto.
    Se si eliminano le province, si potranno risparmiare i costi degli emolumenti agli amministratori provinciali; ma resteranno le spese del personale, che dovrà comunque prestare i servizi anche se inquadrato in organismi diversi, e dei servizi da prestare. Se, invece, andiamo ad analizzare le spese sostenute dalle singole province (un lavoro certo più complesso e difficile, ma più serio) si potrà vedere se questi organismi sono amministrati in modo serio o, piuttosto, allegro; perché, per esempio, non si dice di eliminare le spese per viaggi in Cina, Australia, Stati Uniti di amministratori provinciali con clienti al seguito, o i contributi a enti improbabili, comprese sagre e feste patronali?
    Perché non si propone un sistema di controllo di gestione delle province (e di tutti gli enti locali) che, oltre al controllo di legittimità, preveda anche un controllo sui risultati di gestione dal punto di vista economico e sociale?
    I comuni in Italia sono 8101; di questi, 42 hanno più di 100.000 abitanti, 96 più di 50.000 abitanti, 335 più di 20.000 abitanti, 5835 meno di 5.000 abitanti. La maggioranza dei comuni ha cioè meno di 5.000 abitanti, ma un’organizzazione comprendente il consiglio comunale, il segretario comunale, gli impiegati e tutta una serie di servizi da prestare che, è di tutta evidenza, è sproporzionata rispetto all’organizzazione di cui possono disporre. Come mai a nessuno è venuto in mente che la maggioranza dei comuni potrebbe essere sostituita da consorzi, o che si potrebbero accorpare la maggioranza di essi, risparmiando veramente e migliorando la qualità dei servizi?              

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