Abbiamo bisogno anche del Ministero della Transizione Psicologica

“Houston! … qui Ragusa.”
La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola

Tra una pandemia e una guerra, il nostro subconscio si pone alcune domande senza risposta. Da ben due anni. In silenzio. Interrogativi, ansie e “nevrosi” alle quali forse neppure Sigmund Freud saprebbe porre rimedio o dare sollievo.
Il nostro sistema nervoso ondeggia in un mare shakespeariano in tempesta da mesi, tra lockdown, Dad, varianti e bollettini di guerra che oggi non sono più metafore. E le voci del disagio tra i bambini e gli adulti sono come il canto delle sirene. Sirene, che oggi non sono più metafore.
Le ferite degli invisibili, il dolore dei sussurri, la scia sulfurea del “long covid emotivo” rivendicherebbero a gran voce un cambiamento profondo di prospettiva. Una Transizione. Una palingenesi coraggiosa e radicale racchiusa in una semplice espressione: l’attenzione verso le fragilità.
Io non l’ho vista, se non in gocce vaporose di buona volontà. E timida speranza.

Ecco perché umilmente, ma temerariamente e piratescamente, io approfitto di questa rubrica per lanciare l’idea che venga al più presto istituito un “Ministero della Transizione Psicologica”.
Lo conoscete tutti. Abbiamo già il Ministero della Transizione Ecologica (MiTE), un dicastero del Governo Italiano istituito nel 2021 dal Governo Draghi, che sostituisce l’illustre predecessore, il Ministero dell’Ambiente. In aggiunta alle tradizionali e pregresse competenze, ne detiene una che consiste essenzialmente nella volontà di promuovere una svolta. A suo modo, intende incarnare una rivoluzione, un passaggio dal vecchio al nuovo, che sia più efficace, incisivo: ad esempio, con la promozione delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica, la riduzione delle emissione dei gas a effetto serra, lo smantellamento di impianti nucleari dismessi. Un notevole investimento di risorse (miliardi?) inteso a delineare un inedito e più sano orizzonte nella vita di ciascuno di noi e dei nostri figli.

Bene. L’ambiente c’è (o ci sarà). Ma la persona? Chi si cura davvero della persona? La dimensione psicologica esige oggi, dopo due anni di inquinamento e, talora, devastazione e desertificazione emotiva, un approccio simile: è necessario un Ministero ad hoc (il MiTP). Questa la mia idea.
In aggiunta alle tradizionali e pregresse competenze del Ministero della Salute (sotto l’ala tradizionale degli Ordini Regionali degli Psicologi), il Ministero della Transizione Psicologica avrebbe innanzitutto una missione, figlia di una visione, sulle macerie di una crisi tragica che, per noi psicoterapeuti dovrebbe essere opportunità di crescita, apprendimento, evoluzione: la volontà di promuovere una svolta. A suo modo, dovrebbe incarnare una rivoluzione, un passaggio dal vecchio al nuovo, che sia più efficace, incisivo: ad esempio, con la promozione di parole terapeutiche rinnovate e dell’efficienza della relazione terapeutica in carne, calore ed ossa, la riduzione delle emissione di interventi frammentati e aerei e gassosi, lo smantellamento di modelli ermeneutici obsoleti e “dismessi”.

Occorre un notevole investimento di risorse inteso a delineare un inedito e più sano orizzonte nella vita psicologica e relazionale di ciascuno di noi e dei nostri figli. Forti di più possibilità e disponibilità (e organici e sovvenzioni), noi specialisti dovremmo e potremmo ascoltare molto di più i bambini, gli adolescenti e i fragili del 2022 nell’Era Digitale.
Con la curiosità empatica dei sottili e la fame vorace di chi vuole imparare da loro e dalle loro cicatrici. Il tutto in tre semplici regole: meno webinar e più sguardi, meno paroloni e più presenza, meno citazioni del Novecento e più riferimenti al presente.
E soprattutto, infine il mio sogno: che il Ministero della Transizione Psicologica, per legge, abolisca d’ora in poi l’uso della parola “resilienza”. Che implicitamente addossa sull’individuo ogni sforzo e responsabilità nella risposta alle avversità (fornendo così un alibi a chi non destina molte più risorse alla rete del sostegno psico-sociale).
“Resilienza”. Aboliamola. Sostituendola ora con l’espressione mai scolorita e mai melliflua “prendersi a cuore”.

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