A TRESAURO IL PETROLIO E ANCHE LE CASE AMERICANE

Anche io sono stato vinto dalla curiosità e sono andato a Tresauro. Nella contrada a circa cinque chilometri dalla città ero andato a vedere la grande trivella che estrae petrolio (l’impianto è forse dell’ENI? Me lo chiedo perchè credo di aver letto che il traliccio appartiene al cane a sei zampe, ma non ne sono sicuro) e che è stata recentemente accusata di inquinare le falde acquifere sottostanti.

Naturalmente volevo vederla da vicino, volevo fare qualche bella fotografia per il mio archivio privato, e in tutta onestà non avevo alcuna intenzione di scrivere per il sempre più bello e più letto RagusaOggi.

Ma, purtroppo o per fortuna, ho sbagliato strada. Volevo fare il furbetto, e non andare a Tresauro dalla strada di “Malavita” che collega Ragusa a Santa Croce Camerina e poi al mare di Casuzze. Volevo andare da dietro, dalle parti di Fortugno, e vedere la trivella da più vicino. Ma, come dicevo, ho sbagliato strada e sono finito in un lungo rettilineo che costeggia quella che fino a non molti anni fa doveva essere una gran bella “chiusa”, pianeggiante, bene esposta al sole, con poche “puntare” (la traduzione non la reputo necessaria, chi dovesse sapere bene, chi non sa mi spiace ma vorrà dire che per provenienza geografica, età e condizione sociale non è a me vicino, si arrangi pure e se ha da lamentarsi lo faccia col Direttore che nella sua infinita gentilezza, e proverbiale conoscenza, spiegherà cosa è la “puntara”). Bene, anzi male, in quella chiusa adesso sono state costruite quattro case, in sequenza. Si capisce che il terreno è stato suddiviso in quattro parti e in ciascuna ci si è sbizzarriti a costruire in stile diversi e tutti meritevoli della nostra attenzione, con quello scopo che contraddistingue Hicsuntleones, ovvero un misto di umorismo e serietà, denuncia giornalistica e “curtigghiu” paesano.

Le case che sono state costruite sono rappresentate in foto. La prima è una bella casa, già completa ed abitata, con uno stile che ricorda le nostre massarie ottocentesche, con un bel cancello che introduce ad un moderno baglio. Poi una sorta di anonima costruzione ancora incompleta ma già tutta osservabile nel suo stile post-moderno pieno di angoli e spigoli (sarà casa di gente che non ha figli piccoli). Poi la casa che potremmo definire una sorta di “fortino”, di quelli costruiti dal fascismo in previsione di uno sbarco sulle coste mediterranee, tutta cemento, pietra “viva” a vista e finestre più simili a feritoie, quelle che in dialetto sono le “fileccie”. E infine il gioiello della collezione: una vera e propri baita montana direttamente consegnata dal Quebec o dalla steppa siberiana, con i grossi tronchi incrociati e il tetto spiovente ad evitare l’accumulo della neve.

Dato per scontato che tutti e quattro i magnifici siano provvisti di tanto di licenza edilizia, ci permettiamo un suggerimento alle autorità che sovrintendono a questo tipo di autorizzazione: oltre che la conformità in termini di volumetria e distanze, non si potrebbe chiedere anche un minimo rispetto per la locale tradizione costruttiva? Anche questo rende il territorio più accettabile dal punto di vista paesaggistico. Certo, se poi accanto anche alla più bella e rispettosa casa permettiamo di innalzare una ciclopica trivella per tirare via l’oro nero, allora è tutto da rivedere.

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