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A MOZIA SULLA ROTTA DEI FENICI…
02 Lug 2012 18:51
A circa 120 km da Palermo, sulla piccola isola di San Pantaleo, nello Stagnone di Marsala sorge una delle meraviglie del Mediterraneo: l’antica città di Mozia.
Tappa obbligata per chiunque visiti la Sicilia nord-occidentale, la città di Mozia, vera perla del Mediterraneo, fu fondata dai Fenici, dopo una prima distruzione ad opera di Dionisio di Siracusa venne riconquistata l’anno successivo dai Cartaginesi, per poi cadere alla fine della prima guerra punica sotto il controllo romano e anche se i dati archeologici di abitati romani sono molto scarsi, molto probabilmente ciò è dovuto alla successiva perdita di importanza della città.
Da un punto di vista archeologico l’isola presenta però strati archeologici in ottime condizioni del periodo fenicio-punico, tra le quali possiamo annoverare il Tofet, necropoli dedicata ai bambini che veniva costruita, a differenza delle necropoli normali, al di fuori della città.
I Fenici avevano acquisito questa abitudine tipica delle popolazioni del vicino Oriente: le necropoli, infatti, di solito si trovavano all’interno del centro abitato e non al di fuori come è tipico dell’età romana, mentre i Tofet nei quali venivano sepolti solo bambini che non avevano raggiunto l’età adatta per essere inumati all’interno delle mura.
Le mura cittadine di Mozia si sviluppano per 2,5 km e racchiudono tutta l’isola.
L’ingresso alla città avveniva tramite la porta nord che prevedeva in realtà 3 porte successive a 22 metri l’una dall’altra. Si tratta quindi di una città ben difesa: dopo la colonizzazione greca, infatti, Mozia fu una delle sole tre città siciliane rimaste in mano ai Fenici.
La visita prosegue quindi per l’abitato che si presenta in buone condizioni, come i pavimenti della Casa dei Mosaici, un’abitazione che presenta una pavimentazione costituita da ciottoli bianchi, neri e grigi.
Continuando la visita si arriva al Kothon, una piscina sacra connessa al tempio nelle sue vicinanze, veniva riempita grazie a uno stratagemma abbastanza semplice: venivano inseriti sette blocchi di calcarenite nello strato marnoso che però restavano a contatto con la falda freatica permettendo quindi la risalita dell’acqua.
Nei periodi successivi alla fase fenicia questa piscina fu utilizzata come salina e bacino ittico.
Il Kothon era addossato al bacino di carenaggio, anch’esso fortificato con alte torri di guardia.
Alla fine dell’Ottocento l’Isola di Mozia fu acquistata da Joseph Whitaker erede di un’importante famiglia inglese che spesso risiedeva in occasione dei soggiorni estivi a Palermo, a Villa Sophia.
Il Museo a lui intitolato, ospita oltre al Giovane di Mozia, corredi funebri provenienti dalla necropoli arcaica dell’isola, anfore commerciali, greche, fenicie ed etrusche, una ricca collezione di vasi a vernice nera e figure rosse della necropoli di Birgi, oltre ai materiali provenienti dal Tofet, dall’abitato di Mozia e dalla Casa dei Mosaici.
Fiore all’occhiello del Museo è senz’altro il Giovane di Mozia rinvenuto il 26 ottobre del 1979, nei pressi della zona chiamata “zona K” adiacente al Santuario di Cappiddazzu, in seguito ad una campagna di scavi.
La statua di marmo a grana grossa cristallina con tracce di policromia, doveva raggiungere l’altezza di circa due metri e viene attribuita ad un artista greco del V secolo, raffigura un uomo dal corpo atletico e valoroso, forse nel gesto di condurre il carro vittorioso ma altre ipotesi spingono gli studiosi ad alternative interpretazioni: sacerdote, divinità, magistrato, il tiranno Gelone, Dedalo.
L’isola di San Pantaleo (il nome le venne dato dai monaci Basiliani quando l’isola fu ceduta ai Normanni di cui era il loro protettore) è dunque un ottimo luogo per una visita all’insegna di un’archeologia diversa da quella dei soliti parchi archeologici greci siciliani: qui infatti ci si immerge nel mondo fenicio, un mondo fatto di ricchezza e commercio, in parte diverso dal nostro ma al quale comunque dobbiamo molto, a partire dalla base della nostra lingua: l’alfabeto.
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