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VITA E OPERE DI PUBLIO VIRGILIO MARONE
21 Gen 2014 21:57
Publio Virgilio Marone, più semplicemente noto come Virgilio, nacque a Andes, presso Mantova, nel 70 a. C., da una famiglia di agiati agricoltori.
Compì i primi studi a Cremona e a Milano, poi si recò a Roma e a Napoli per perfezionare lo studio della letteratura e della filosofia.
Dopo l’assassinio di Giulio Cesare avvenuta nel 44 a.C. e il conseguente scoppio della guerra civile, tornò a Mantova, dove nella quiete agreste sulle rive del Mincio, compose le celebri Bucoliche, dieci componimenti poetici (egloghe) ispirate alla vita pastorale e agricola. Si avverte però, qua e là, gli avvenimenti politici che stavano sconvolgendo l’Italia.
Fu espropriato delle sue terre, che vennero assegnate ai veterani di Ottaviano e Antonio, tornò a Roma dove la pubblicazione dell’opera, composta a Mantova, gli procurò grande fama e la protezione di Mecenate, uomo colto e ricchissimo, amico e consigliere di Ottaviano.
Fu compensato delle terre espropriate con una villa a Napoli, città che prediligeva e vi si stabilì. Qui, si dedicò completamente alla poesia e tra il 37 e il 30 compose, sembra su invito Mecenate, un poema in quattro libri sulla vita dei campi intitolato Georgiche.
L’opera è una esaltazione della civiltà agricola dell’Italia attraverso la descrizione del duro, ma gratificante lavoro dei contadini, ed esprima l’anima agreste del poeta e il bisogno di pace dopo la rovinosa guerra civile.
Nel 29 Ottaviano propose a Virgilio di cantare la gloria di Roma. Pare che all’inizio avesse in mente di esaltare le gesta di Augusto, ma si trovò in difficoltà nel raccontare una poesia epica su eventi del presente, si indirizzò allora all’antica leggenda di Enea con il vantaggio di cantare le gesta di un eroe di cui Ottaviano vantava la discendenza e oltretutto di collegarsi alla grande poesia epica di Omero.
Durò dieci anni la sua elaborazione. Terminò nel 19, ma non ancora soddisfatto volle recarsi in Grecia, la patria delle lettere e delle arti.
Purtroppo si ammalò e decise di rientrare, ma a Brindisi morì. Era il 22 settembre 19 a.C. Fu sepolto a Napoli.
Nel testamento aveva dato disposizioni che il manoscritto del poema fosse distrutto, ma intervenne Augusto e ordinò di non rispettare la volontà di Virgilio. E l’Eneide fu salva.
Ora l’incipit dell’Eneide e un brano che tratta della fondazione della città di Padova.
Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris
Italiam fato profugus Laviniaque venit
litora, multum ille et terris iactatus et alto
vi superum, saevae memorem Iunonis ob iram,
multa quoque et bello passus, dum conderet urbem
inferretque deos Latio; genus unde Latinum
Albanique patres atque altae moenia Romae.
Armi canto e l’uomo che primo dai lidi di Troia
venne in Italia fuggiasco per fato e alle spiagge
lavinie, e molto in terra e sul mare fu preda
di forze divine, per l’ira ostinata della crudele Giunone,
molto sofferse anche in guerra, finch’ebbe fondato
la sua città, portato nel Lazio i suoi dei, donde il sangue
Latino e i padri Albani e le mura dell’alta Roma.
Nunc eadem fortuna viros tot casibus actos
insequitur. quem das finem, rex magne, laborum?
Antenor potuit mediis elapsus Achiuis
Illyricos penetrare sinus atque intima tutus
regna Liburnorum et fontem superare Timavi,
unde per ora novem vasto cum murmure montis
it mare proruptum et pelago premit arva sonanti.
hic tamen ille urbem Patavi sedesque locavit
Teucrorum et genti nomen dedit armaque fixit
Troia, nunc placida compostus pace quiescit.
DE AENEADUM FATIS (1.240-249)
Ora uguale fortuna perseguita sempre quegli uomini
distrutti dai mali. Che fine dài, gran re, del soffrire?
Antènore pure ha potuto, sfuggendo agli Achivi,
penetrare sicuro il mare d’Illiria, e i lontani
regni liburni e la fonte superar del Timavo,
donde per nove bocche, con vasto rimbombo del monte,
va, dilagato mare, travolge i campi nell’onda muggente.
Sì, egli pose qui Padova, sede di Teucri,
e diede un nome alla gente, e appese l’armi di Troia,
e ora, in placida pace composto, riposa.
di Adelina Valcanover
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