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INVALSI: CRITICHE E CONTESTAZIONI
10 Mag 2013 21:12
Hanno avuto inizio le prove INVALSI, i test, introdotti nel 2007, dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione.
Nelle giornate di martedì e venerdì dell’attuale settimana si sono svolte nelle scuole elementari, per gli alunni delle classi II e V, il 14 maggio si svolgeranno per quelli delle secondarie di primo grado (I media) e il 16 per i giovani della scuola secondaria di secondo grado. Il 17 giugno, poi, la prova, questa volta con valutazione che influirà sul voto d’esame, per gli studenti che sostengono l’esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione (licenza media).
Dopo 5 anni di esperienza il test è ancora sottoposto a costanti perfezionamenti, segnali che evidenziano la non perfetta sincronia dei meccanismi che vogliono perseguire un monitoraggio del sistema scolastico italiano.
I responsabili dell’Istituto di Valutazione si sforzano di sottolineare la funzione per accrescere le potenzialità di utilizzo a fini di autovalutazione e riflessione sulla didattica. In un rapporto nazionale, che dovrebbe essere presentato il prossimo 11 luglio, saranno messe a fuoco le differenze tra regioni sul ruolo del background socio-economico e familiare, le differenze tra scuole e classi, ma per la prima volta saranno esposti dati anche sulla motivazione e sugli atteggiamenti degli studenti che verranno testati sul loro grado di impegno quotidiano, sull’importanza che attribuiscono allo studio anche in relazione alle ambizioni.
La finalità è quella di fornire, in futuro, indicazioni ai docenti anche sulla capacità di coinvolgere i propri studenti. Le prove, stando ai responsabili del test, stanno enfatizzando, sempre di più, le competenze più che le semplici conoscenze scolastiche. Stimoli cognitivi e non quiz nozionistici, quindi. Non si vuole offrire un metro di giudizio del singolo alunno ma la finalità è sempre dare una descrizione del sistema scolastico complessivo.
I test non sono, però, del tutto positivamente considerati dal personale della scuola, per contestarli si sono svolte assemblee e convegni di docenti e Ata, i Cobas hanno raccolto molte migliaia di firme di uomini e donne appartenenti al mondo della cultura e delle arti.
Il giudizio sui test è estremamente negativo: i quiz standardizzati avvilirebbero il ruolo dei docenti e della didattica, abbassando gravemente la qualità della scuola, provocando la marginalizzazione delle materie non coinvolte nella valutazione e insieme il degrado delle discipline interessate: riduzione al problem-solving per la matematica e per l’italiano, oscuramento della complessa composizione scritta a favore della comprensione del testo, del quale non importano più i messaggi autoriali veicolati o il loro significato storico-culturale.
Sarebbe imposta una scuola misera, degradata e impoverita.
In effetti si aggira lo spettro di un esame che fa più paura ai docenti che agli alunni, più che gli studenti sono gli insegnanti che temono di essere valutati con uno strumento che ritengono rozzo e inadeguato.
I presidi e gli insegnanti temono che dando pubblicità a eventuali esiti negativi dei test questi vengano usati strumentalmente da certe scuole a danno di altre. O ancora i docenti temono di essere valutati male dai genitori se i propri studenti non ottengono buoni risultati, e magari sbattuti in prima pagina dai quotidiani locali per qualche esito clamoroso. C’è ancora una scarsa comprensione di qual è il ruolo dell’Invalsi e di come vadano interpretati i risultati. Più che l’esito della singola prova l’attenzione andrebbe data agli eventuali miglioramenti o peggioramenti nel corso del tempo.
Mentre lo scopo sarebbe di verificare le conoscenze degli studenti e la qualità complessiva dell’offerta formativa, per qualcuno si tratta di pura quizzologia, di una mostruosità, di una cosa senza alcun senso.
In una scuola dove gli studenti, e i genitori, sono interessati più al voto che all’apprendimento, in cui gli stessi insegnanti sono più preoccupati di far fare bella figura ai propri alunni che non di valutarne gli effettivi miglioramenti, non ci si deve stupire che la volontà di livellare verso l’alto gli standard non trovi nessun padre politico.
Per chi, come genitore, ha potuto verificare il grado di coinvolgimento degli alunni, c’è da rilevare una impreparazione di fondo della scuola all’evento test: i programmi non sono strutturati in funzione di questa prova per cui si ricorre, quasi sempre all’ultimo momento, e non attraverso un percorso costante di adeguamento della didattica alla nuove forme di nozioni e conoscenze, a prove di allenamento sui più diversi testi esistenti sulla materia. Abbondanza di pubblicazioni funzionali all’addestramento, a cui fa da contraltare la totale mancanza di testi di riflessione politica o pedagogica sul test.
Viene poi da pensare che questi responsabili ministeriali, per verificare il livello della scuola italiana, le competenze dei nostri ragazzi e la qualità dell’offerta formativa, dovrebbero recarsi personalmente nelle diverse realtà di tutto il paese e non affidarsi solamente ai risultati elettronici sintesi di tutti i test, da loro stessi giudicati sempre bisognevoli di perfezionamenti e aggiustamenti.
Perché non inseriscono fra i risultati le aule, di talune scuole, dove sono alloggiati i pochi personal computer (definirle laboratori di informatica potrebbe sembrare uno sfottò) che faticano persino ad aprire Google Maps, perché non constatano la scarsità e le problematiche degli insegnanti di sostegno, perché non considerano l’esiguità dei fondi che non permettono nemmeno il regolare svolgimento di viaggi di istruzione, perché non vanno a vedere ragazzi alti oltre un metro e ottanta seduti in banchetti da scuola media ? Perché non inseriscono le relative valutazioni fra risultati del test ?
Forse per tracciare una sintesi della problematica vale citare il commento d un professore in pensione, ex docente di un Istituto d’Arte di Firenze: “L’INVALSI, così come l’INDIRE sono enti inutili popolati da persone che senza fare il mestiere di insegnante, pretendono di dare indicazioni, direttive e valutazioni. Tutto questo in nome della Pedagogia, una pseudo scienza, o pseudo branca della filosofia, nata dalla perversa unione del pensiero positivista con le fumisterie educative più o meno cattoliche. Il tutto fondato sull’idea assurda che i fanciulli vadano educati, mentre si tratta solo di giovani esseri umani che fanno un percorso di formazione in compagnia e sotto la guida di adulti colti ed esperti. E’ ora di chiudere l’INVALSI, prima che si compia lo smantellamento della scuola italiana, l’unica che ancora funziona in Europa”.
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