LA GIOIA DIETRO QUATTRO MURA

 

Mi chiamo Seby, leggendo questo mio titolo potete pensare “Come si può gioire stando in carcere”, ma alla fine dell’articolo, capirete.

La mia sofferenza parte da lontano, perché ho trascorso più di tre anni lontano dalla mia nazione, oltre che dalla mia famiglia, dopo che mi è arrivato un mandato di arresto europeo. Ho vissuto in una realtà completamente diversa, sia per motivi di cultura che di lingua e restavo chiuso in cella ventitrè ore al giorno. L’ora del passeggio era dalle sette e trenta alle otto e trenta; dopodichè, chiudevano quel blindo e non ti rimaneva altro che vivere occupandoti la mente. L’unica cosa che potevo fare era leggere tanti libri, perché non potevo fare altro, in quanto non capivo la lingua. Eravamo sei in cella, di cui tutti stranieri; mi parlavano e non capivo nulla, guardavo la televisione e nella mia mente si creava solo confusione. Le guardie erano tutte razziste, soprattutto verso gli italiani, soprattutto verso i siciliani; l’unica parola che capivo era mafioso.

Fra me e me, pensavo “Ma dove sono finito”! Le giornate erano molto lunghe, anche perché non essendoci dialoghi, il tempo non passava mai. Io speravo di tornare in Italia al più presto, entro sei mesi al massimo, ma passavano i mesi e gli anni. Ne sono trascorsi tre. L’unica cosa positiva è stata che, dopo otto mesi, sono riuscito ad imparare la lingua del posto e le tante culture diverse che noi detenuti avevamo, dal cibo, alla visione delle cose. La Gioia più grande arrivò quando il 18 febbraio 2011, sento aprire il blindo e una guardia mi dice che dovevo prepararmi per tornare in Italia e solo chi ha passato questa mia esperienza, potrà capire come una persona, dentro queste mura, possa gioire così tanto. Avevo il cuore che mi faceva mille battiti al secondo; tutta questa gioia era dovuta al fatto che per tre anni e mezzo non avevo fatto colloqui con la mia famiglia, soprattutto con la mia bambina.

Mi trasferiscono in Italia, a Bolzano. La gioia mi è rimasta, anche se sarei stato più felice se mi avessero trasferito in Sicilia. Mi sono premurato a fare un’istanza al Dap di Roma, per essere avvicinato in qualche istituto penitenziario in Sicilia. Dopo otto mesi, sono arrivato alla casa circondariale di Ragusa. Dalla gioia non mi sembrava vero. Il solo pensiero che on mi faceva stare nella pelle era che non vedevo la mia bambina da quasi quattro anni; quindi, lascio immaginare cosa può provare una persona che oltre ad essere privato della libertà, si trova distante dalla famiglia. Cari lettori, posso dire che anche dietro quattro mura si può gioire, anche se la gioia vera completa la proverò, quando sarò libero. Un saluto a tutti i lettori e un grandissimo bacio alla mia bambina. 

 

 

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