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Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne: la riflessione della Consulta femminile del Comune di Ragusa
23 Nov 2020 18:39
Il 25 novembre non è una data scelta a caso. E’ il ricordo di un brutale assassinio, avvenuto nel 1960 nella Repubblica Dominicana: tre sorelle, di cognome Mirabal, considerate rivoluzionarie, furono stuprate, torturate, massacrate, strangolate.
La Giornata è stata istituita dall’Onu con la risoluzione 54/134 del 17 dicembre 1999, durante il mandato di KOFI ANNAN, Segretario Generale delle Nazioni Unite dal 1997 al 2006, il quale affermò con forza che “La violenza contro le donne è una delle più vergognose violazioni dei diritti umani”.
La stessa Dichiarazione adottata dall’Assemblea Generale Onu parla di violenza contro le donne come di “uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini”, sancendo con tale affermazione la “matrice culturale”, nel senso antropologico del termine, di questo che ormai è unanimamente definito ‘dramma sociale’!
Molti anni sono passati sia dal triste episodio del 1960, sia dalla risoluzione dell’ONU, ma la situazione non sembra dare segni di cambiamento.
Ancora oggi, il binomio ‘prevaricazione maschile/subordinazione femminile’ è significativamente presente, anche se in molti casi mimetizzato da una parvenza di parità (formale, ma non sostanziale, non interiorizzata, né supportata da consapevolezza); il rapporto donna-uomo è pur sempre asimmetrico. La subalternità femminile, variamente espressa, non sempre è ‘palese’ (c’è l’illusione della parità!); spesso viaggia lungo percorsi tortuosi, lastricati da ambiguità comunicative, che pongono la donna in una condizione di indecidibilità e ne offuscano la capacità di discernimento. Ciò spiega perché, nonostante tutto, persista nella donna un’assunzione implicita del potere maschile che, retrocesso in zone sempre meno accessibili alla consapevolezza, contribuisce a definire delle meta-regole relazionali di cui l’uomo si è auto-attribuito la legittimazione.
La Storia ha perpetuato un’asimmetria di potere che, all’interno della dialettica natura/cultura, ha cristallizzato una distorta legittimazione di ruoli e capacità decisionali che stabiliscono a chi spetti, nella relazione uomo-donna, il ruolo -up e il ruolo -down, e questo nel contesto di ciascuno dei Mondi Vitali che li riguardano entrambi.
La violenza sulla donna è figlia di questa cultura, una cultura che non accenna ad evolversi, a modificarsi, a correggere i guasti di un ‘modello relazionale’, quello patriarcale, costruito sul mito del potere maschile e della relativa gestione.
Imponenti le conseguenze, perché imponenti sono gli ambiti compromessi.
La violenza, questa violenza in particolare, tracima l’area della civile relazionalità donna-uomo, supera gli argini del rispetto, della riservatezza, del privato, dell’intimità della donna, violandone il corpo e lacerandone l’anima: è una ferita dell’essenza stessa della “femminilità” e lascia cicatrici indelebili.
Ed è triste pensare che i più significativi e rilevanti comportamenti violenti si consumano tra le mura domestiche, in casa, luogo idealmente immaginato come sede degli affetti, ma che in realtà è spesso teatro di esacerbate conflittualità che sfociano appunto in azioni devastanti che minano, spesso in maniera irreversibile, l’autostima femminile.
La violenza domestica è “invisibile”, fa parte di quel sommerso difficile da far emergere e, quando emerge, assume sfumature altrettanto difficili da trattare, perché maggiormente radicate nella storia personale di ciascun attore; e, in tale dinamica, la donna rimane coinvolta, allorché le spinte alla libertà, all’autonomia personale e all’uguaglianza rimangono imbrigliate negli ideali della complementarietà e della fusionalità, tanto da configurare quadri di elevato invischiamento (affettivo, emotivo, sociale), da cui quasi mai riesce a liberarsi senza evocare sensi di colpa rinforzati da un modello culturale che tende a trasferire sulla vittima la responsabilità della violenza subita; questo aspetto induce spesso a non denunciare l’evento per evitare lo stigma.
Non di rado la violenza domestica si esprime con la ‘violenza psicologica’ (presente, comunque, anche in altri contesti, come quello lavorativo!), modalità sottovalutata, ma pericolosa, perché subdola e spesso subliminale, non percepibile: ne sono espressione la sottile svalutazione, la manipolazione del pensiero, l’utilizzo del silenzio e del ‘non detto’ nella comunicazione, l’indifferenza, la mancanza di attenzioni…, giusto per citarne alcuni.
Non c’è dubbio che la violenza fisica, in qualsiasi modo espressa, sia la più esplicita con i suoi segni visibili: da tempo immemorabile il corpo della donna è violato, violentato, devastato, territorio di conquista e simbolica eredità di millenari predatori!
Ma non è l’unica tipologia di violenza subita dalla donna.
Oggi più di ieri si ha la consapevolezza che la complessità del problema, fondamentalmente culturale e politico, investe molteplici aspetti, perché mille sono i volti della violenza: psicologici, persecutori (stalking), fisici, sessuali, economici, del linguaggio, della comunicazione … tutti uniti da una sorta di legame perverso che, in un circuito di elementi che si autoalimentano e si associano, delinea un percorso che sembra non avere soluzione di continuità.
E così la donna è sola, di fronte alle Istituzioni formalmente vicine ma sostanzialmente inefficaci, di fronte al reale vissuto di discriminazione nel lavoro, di fronte ad una società che agisce e opera per stereotipi e che nega soggettività e libertà alla sua femminilità, in sostanza … sola con se stessa e sola di fronte all’uomo, quando questo è prevaricatore, abusante, manipolatore, squalificante, in definitiva, quando con la violenza sancisce la propria inquietudine, la millenaria frustrazione mai risolta … il proprio fallimento come persona!
C’è da ricostruire dalle fondamenta un ‘modello relazionale’ anomalo, disfunzionale, disequilibrato, non degno di una società che si vuole definire civile.
Questo imponente lavoro va fatto assieme, donne e uomini, entrambi facce di una stessa medaglia, entrambi poli significativi di una relazione che sostiene la sussistenza e la sopravvivenza della società tutta nei suoi elementi strutturali (dalle Istituzioni ai singoli Individui, ai Gruppi, alla Comunità) ed è su questi elementi che bisogna fare leva!
Su richiesta di questa Consulta Femminile il Sindaco ha autorizzato, per giorno 25, l’illuminazione in arancione (colore simbolo del contrasto alla violenza sulle donne) della facciata del Municipio.
Giuseppina Pavone, Presidente Consulta Comunale Femminile
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