8 MARZO: PERCHÉ CONTINUANO A CHIAMARLA FESTA DELLA DONNA?

Solo una riflessione, amara e in parte rassegnata, alla vista di locandine ed inviti a festeggiare presso ristoranti e pizzerie.

Non è una festività ma una ricorrenza. E poi c’è poco  da festeggiare per le donne italiane. Sottopagate  o sottoimpiegate nel  lavoro, costrette ad accontentarsi del part time ( pur lavorando ad orario pieno), licenziate senza problemi grazie all’escamotage “geniale” delle dimissioni in bianco, vittime ,spesso silenziose, di violenza.

 Ma anche patetiche marionette per il godimento dei potenti o dei guardoni televisivi, in un  ruolo accettato e condiviso dall’opinione pubblica: una creazione mediatica  di miti basati su una volgare  mercificazione dell’ immagine della donna  che certamente vanifica  le lotte  per la parità. Quest’ultimo aspetto è sicuramente il più subdolo, quello che entra in tutte le case e consegna noi donne,spesso inconsapevoli, all’eterno ruolo subalterno di corollario della vita del maschio. Ma è quello che  sicuramente  ci chiama alla nostra responsabilità di fronte alla Storia, passata e futura, che ha sempre chiesto  alle donne il prezzo più alto per  le lotte politiche  e le conquiste sociali.

Va ricordato ancora che di parità di genere si parla sin dal nascere della Repubblica, quando  i Padri Costituenti dichiararono formalmente  l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, come  recita l’articolo 3 della nostra Costituzione :

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”

Una legge disattesa, dunque, una legge violata, una differenza di genere che non ha asilo in uno Stato di diritto.  Forse  oggi va solo detto che le  donne si sono semplicemente  riprese quello che era stato arbitrariamente loro tolto.


 

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