REFLUSSO GASTROESOFAGEO E ACIDITÀ GASTRICA: IL RUOLO DELL’ALIMENTAZIONE

Il reflusso gastroesofageo (RGE) è una condizione, molto comune, in cui il contenuto dello stomaco risale in esofago. In condizioni normali, si può avere una piccola quota di reflusso (liquido e/o gassoso) fino a 1-4 episodi/ora durante le tre ore successive al pasto. In questi casi, si tratta sempre di un reflusso breve e poco acido, e per questo poco avvertito. Quando, invece, il fenomeno diventa più frequente o si accompagna ad altri sintomi, si può trattare di “malattia da reflusso gastroesofageo” o MRGE, i cui sintomi principali, oltre al reflusso, sono la pirosi gastrica (o bruciore di stomaco) e un sapore acido o acre in bocca, a volte accompagnato da aumentata salivazione. Talvolta, alla base del reflusso vi è un’ernia iatale, cioè lo scivolamento dello stomaco nel torace attraverso il diaframma, ma ciò non significa che la MRGE sia sempre causata da un’ernia iatale, né che l’ernia iatale sia sempre accompagnata da MRGE. Attenzione, inoltre, a non considerare l’infezione da Helicobapter pylori quale causa del RGE: l’HP, infatti, è un cofattore nell’ulcera gastrica o duodenale, nel cancro e nel linfoma gastrico, unici casi in cui è necessaria l’eradicazione.

 

Nonostante i termini bruciore di stomaco, acidità di stomaco e pirosi siano spesso usati per indicare un’unica cosa, è importante ricordare che il “bruciore” può derivare anche da altri tratti dell’apparato digerente, come l’esofago o il duodeno. Quando la pirosi è un sintomo frequente, potrebbe essere la spia di MRGE o di patologie ulcerative dello stomaco o del duodeno.

Tornando al reflusso gastroesofageo, vediamo come ha origine: normalmente, la parete dello stomaco si difende da un eventuale aumento dell’acidità grazie all’azione della mucosa interna, che forma una barriera di muco e bicarbonato attraverso un sistema finemente controllato di pompe ioniche. Quando, però, l’acidità del lume diventa eccessiva, l’acido stesso può superare lo strato di muco, irritando la parete sottostante e provocando dolore e infiammazione. L’acidità gastrica, inoltre, promuove il rilasciamento della valvola che separa l’esofago dallo stomaco (il cardias), causando la risalita dell’acido stesso – o del cibo mescolato con l’acido – lungo la parete dell’esofago, che non è in grado di difendersi: questo non è altro che il “reflusso gastroesofageo”, in cui il bruciore tende a “risalire” dietro lo sterno, verso la gola.

Un esofago che subisca ripetutamente il passaggio di secrezioni acide, inoltre, potrebbe andare incontro allo sviluppo di erosioni, ulcere e sanguinamenti, sviluppando la cosiddetta “esofagite da reflusso”, che a sua volta ha come possibile complicanza l’esofago di Barrett, stadio precanceroso da tenere fortemente sotto controllo.

 

L’insorgenza e l’aumento della pirosi gastrica, e di conseguenza del reflusso gastro-esofageo, possono essere dovuti a pasti troppo abbondanti (che causano indigestione, o dispepsia), all’abuso di caffè o alcool, al fumo, al sovrappeso o all’obesità (soprattutto addominale), ma anche all’assunzione di determinati alimenti o farmaci irritanti (aspirina, antidolorifici, antinfiammatori non steroidei, benzodiazepine, beta-bloccanti, etc.) e, ancora, a una predisposizione genetica individuale (minore tolleranza a particolari cibi o allo stress) o al consumo frequente e/o eccessivo di cibi che stimolano eccessivamente le secrezioni acide (con elevata variabilità individuale: cioccolato, menta, alcune spezie e erbe aromatiche, aglio, liquirizia, dado vegetale o di carne, bibite gassate).

 

L’alimentazione, quindi, può sì influire sulla comparsa dei sintomi, ma nella maggior parte dei casi non ne rappresenta la causa principale! Alcuni alimenti, per esempio, hanno una maggiore azione dilatatoria sui muscoli che controllano il cardias, favorendo quindi la risalita del cibo in esofago, ma non causano di per sé le secrezioni acide. Altri, invece, possono favorirle, ma spesso più che singoli alimenti o ingredienti, sono da incolpare associazioni o abitudini alimentari scorrette, di seguito elencate: consumare pasti troppo abbondanti, soprattutto se si mangia una sola volta al giorno, probabilmente di sera, e poi si va subito a dormire; consumare pasti ricchi di cibi che richiedono una più lunga digestione (in primis, grassi e proteine animali insieme, o anche proteine di diverso tipo); mangiare molto velocemente; sdraiarsi subito dopo mangiato e portare indumenti che comprimono lo stomaco; fumare dopo i pasti (le sostanze contenute nel fumo di sigaretta causano il rilassamento dello sfintere esofageo inferiore, senza contare che il fumo aumenta la produzione di acido e riduce la capacità di guarigione delle ulcere); bere alcol, aperitivi inclusi, soprattutto a stomaco vuoto.

Vediamo, infine, il potenziale ruolo di alcuni alimenti nei confronti del reflusso gastro-esofageo, ricordando che esiste una elevata variabilità individuale. Aglio, cioccolato, cipolla, menta e tè rilassano la muscolatura dello sfintere esofageo inferiore, così come prezzemolo, basilico, origano o altre erbe aromatiche; arance e pomodori possono aumentare l’acidità nell’esofago e svolgere quindi un’azione irritante (discorso a parte è da fare per il limone); aceto, sottaceti, senape, mostarda e salse piccanti, ma anche spezie quali pepe, peperoncino, paprika e chiodi di garofano, sono irritanti per la mucosa; caffè e altre bevande nervine stimolano notevolmente le secrezioni acide, e questo spiega la sensazione di “buco allo stomaco” riportata da molte persone che bevono caffè a digiuno.    

Cosa fare in caso di reflusso di lieve entità? Seguire una dieta corretta e identificare i cibi meno tollerati è, nella maggior parte, sufficiente e risolutivo. In casi più gravi, invece, oltre che le regole alimentari, può essere necessario ricorrere a una terapia anti-secretiva, senza però pensare di seguirla “a vita”, o come scusa per continuare a mangiare male.

Infine, un focus su alcuni alimenti di uso comune, sempre tenendo presente che ogni persona può rispondere diversamente a uno stesso prodotto. Il latte di solito può essere consumato in quanto, essendo alcalino, contribuisce a neutralizzare l’acidità del reflusso; meglio però assumere il parzialmente scremato, perché viene digerito più velocemente di quello intero. Anche lo yogurt, sia normale sia greco, generalmente è ben tollerato, così come il pesce e le carni (tagli magri). Attenzione invece a tutte le carni affumicate, salumi e insaccati, formaggi fermentati o molto grassi e cremosi (che rallentano lo svuotamento gastrico). Basso rischio per i formaggi freschi, ricotta in primis, ma anche parmigiano e pecorino, che, senza abusare, non favoriscono il reflusso. La risposta alle uova è una delle più varie: alla coque e nelle frittate sono più digeribili, ma c’è chi invece non avverte fastidio solo se le consuma sode o fritte. Per la frutta si può aprire un capitolo a parte: sicuramente arance e mandarini sono i più associati al reflusso, ma anche cedri, melagrane, ananas e anguria possono favorirlo o peggiorarlo. Più tollerati, invece, frutti di bosco, pere, pesche, albicocche, nespole, ciliegie, banane e mele.

Come già detto, sono assolutamente da evitare alcolici e superalcolici, soprattutto a digiuno. Il vino bianco è meno tollerato del rosso. Non si deve esagerare neanche con i dolci, soprattutto quelli farciti con creme o comunque elaborati. Anche il cioccolato, ahimè, nella maggior parte dei casi riduce il tono della valvola esofago-gastrica, favorendo quindi il reflusso. 

E, infine, il mio preferito: il succo di limone! Molti pensano che il limone, essendo acido, sia il nemico numero 1 del reflusso gastroesofageo. Sbagliato, è l’esatto contrario. Non bisogna confondere il concetto di pH dell’alimento con l’avere un effetto acidificante o alcalinizzante. Il succo del limone, infatti, è uno dei più noti alimenti alcalinizzanti (viene addirittura consigliato per alcalinizzare le urine e prevenire la formazione di calcoli renali di urati, ossalato di calcio e cistina in soggetti predisposti), poiché svolge un’azione tampone dovuta agli acidi organici che lo compongono, i quali nell’organismo danno reazione basica (durante la metabolizzazione l’acido citrico si ossida, e i sali che ne derivano danno origine a carbonati e bicarbonati di calcio e potassio che contribuiscono all’alcalinizzazione del sangue e delle urine). Quindi, in caso di acidità, ma anche dopo un pasto pesante, bere acqua e limone è senza dubbio un ottimo metodo alcalinizzante. A prescindere, in realtà, assumere questa bevanda ogni mattina a digiuno ha numerosi benefici: oltre a bilanciare il pH, favorisce la funzionalità epatica e renale, contribuisce all’escrezione delle tossine (con conseguenze positive  per il sangue, gli organi “filtro” e la pelle), previene l’alitosi e allevia il dolore da gengivite. Attenzione, soltanto, a bere con la cannuccia e/o risciacquare la bocca, perché a lungo andare il succo il limone può erodere lo smalto dei denti, e ad assicurarsi che l’acqua sia tiepida e non fredda.

 

 

 

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it