COLESTEROLO: UN NEMICO DA COMBATTERE O UN AMICO DA CONOSCERE?

Avere il colesterolo “alto” fa male. Ne siete davvero sicuri?

La storia non è così semplice. C’è molta, moltissima confusione sull’argomento, e questo articolo ha lo scopo di spiegare, da un lato, l’importanza del colesterolo per l’organismo e, dall’altro, come non sia l’alimentazione a influire direttamente sui livelli di colesterolo nel sangue.

Prima di tutto, è necessario spiegare brevemente di cosa stiamo parlando: cos’è il colesterolo?

È una molecola fondamentale per il nostro organismo, un componente essenziale per la produzione di numerose sostanze come gli acidi biliari, gli ormoni sessuali, la vitamina D e gli ormoni della corteccia surrenale. Il colesterolo è anche determinante per il trasporto dei grassi nel plasma sanguigno, mentre nel tessuto nervoso è un costituente della guaina mielinica dei nervi, e contribuisce inoltre a formare la membrana di tutte le cellule.

Senza colesterolo la vita del nostro organismo non sarebbe possibile; non solo, una carenza, anche lieve, può avere gravi conseguenze. Basti pensare che l’organismo stesso produce questa preziosa sostanza in grandissime quantità (più di un grammo al giorno), in modo da fronteggiare anche la totale assenza nella dieta. Attraverso gli alimenti, in ogni caso, se ne introducono meno di 0,2 grammi al giorno.

Perché, allora, tutti pensano che l’alimentazione influisca sulla colesterolemia (alias “livelli di colesterolo nel sangue”, espressa generalmente in mg/dl)? Colpa dei media, delle aziende farmaceutiche, e della superficialità e mancanza di informazione di alcuni medici e nutrizionisti.

In un organismo sano, infatti, il colesterolo totale in circolo è in massima parte sintetizzato nell’organismo stesso (colesterolo endogeno), soprattutto dal fegato, mentre il colesterolo ingerito con la dieta (colesterolo esogeno) rappresenta una minima parte del totale (0,01 – 0,03%).

Inoltre, esiste un sistema di regolazione a feedback, grazie al quale il colesterolo esogeno inibisce la sintesi del colesterolo endogeno. In altre parole, l’organismo pianifica di avere un determinato quantitativo di colesterolo in circolo, e ne regola la produzione di conseguenza: quando la quantità introdotta con la dieta non è sufficiente, la sintesi epatica aumenta; quando il colesterolo dietetico aumenta, la sintesi epatica diminuisce. E non è tutto: il feedback funziona anche a livello di assorbimento intestinale. Più colesterolo assumiamo con l’alimentazione e/o più colesterolo è in circolo, minore è la quantità che l’intestino ne fa passare nel sangue, provvedendo a eliminare il resto con le feci.

Se i valori di colesterolo ematico sono alti, o vi sono delle disfunzioni genetiche alla base (dislipidemie), oppure è il sistema di feedback che non funziona correttamente, ma non è colpa del colesterolo alimentare! Tenete presente, tra l’altro, che ciò che viene misurato non è mai il colesterolo libero, bensì le frazioni legate alle proteine di trasporto (VLDL, HDL, LDL), dal momento che le molecole di colesterolo non possono circolare liberamente nel sangue.

Inoltre, altri fattori possono aggravare una condizione di ipercolesterolemia dovuta a alterazioni metaboliche preesistenti, come l’assunzione eccessiva di cibo (in particolare di carboidrati), il fumo, l’obesità, la sedentarietà, e una dieta ricca di alimenti raffinati e grassi trans idrogenati.

Per questo motivo, il consiglio di limitare i grassi (quelli buoni, s’intende) è inutile, se poi ci si butta sui carboidrati, sia semplici sia complessi. La prova? In questi ultimi trent’anni, ci hanno fatto mangiare sempre meno grassi e più carboidrati (chi non ha mai adottato misure low-fat nella propria alimentazione, alzi la mano), con il risultato che obesità, ipercolesterolemia e malattie cardiovascolari sono aumentate e sono tuttora in aumento esponenziale!

Il colmo è che si continua a criminalizzare il colesterolo e gli alimenti che più ne sono ricchi (in primis uova, carne e formaggi), nonostante da oltre vent’anni moltissimi studi scientifici provino la non diretta causalità tra alimentazione e colesterolemia! Vista la sua vitale importanza, si dovrebbe solo smettere di considerarlo un nemico, e riconoscerne l’oggettiva valenza per la salute.

Altro aspetto molto discusso è la relazione tra colesterolo e aterosclerosi. Ma, esiste una correlazione? Per capirlo, è necessario fare cenno alle lipoproteine e, in particolare, alle famose HDL e LDL, anche note come “colesterolo buono” e “colesterolo cattivo” – definizioni altamente fuorvianti, seppur di uso comune.

Le sigle HDL e LDL stanno, rispettivamente, per High Density Lipoproteins e Low Density Lipoproteins; entrambi i tipi si formano a partire dalle VLDL (Very Low Density Lipoproteins), ma esistono anche ulteriori sottoclassi.

Tutte le lipoproteine sono addette al trasporto di trigliceridi, colesterolo e altre molecole, attraverso un complesso sistema di comunicazione tra fegato, sangue e tessuti; in particolare, le LDL trasportano il colesterolo dal fegato ai tessuti e alle cellule dove esso è richiesto, mentre le HDL lo riportano al fegato (e sono, quindi, viste come le paladine che allontanano il nemico…).

Non è questa la sede per spiegare l’intero metabolismo delle lipoproteine, che è molto più complesso di così, ma il punto chiave è: se da un lato è vero che avere un valore elevato di HDL nel sangue rappresenti un fattore protettivo, d’altro canto non bisogna attribuire alle LDL tutti gli aspetti negativi, anzi! Quelle da temere, infatti, sono solo le più piccole (sottotipo definito “small dense-LDL”), che rimangono più a lungo in circolo rispetto al sottotipo “large buoyant-LDL” (più larghe, e innocue), e tendono più facilmente a ossidarsi e a passare attraverso l’endotelio, risultando quindi quelle più coinvolte nella formazione della placca ateromasica.

Dunque, non è mai il colesterolo a causare l’aterosclerosi (le placche si formano benissimo anche in presenza di bassi livelli di colesterolo ematico!), bensì una serie di alterazioni cellulari e di fenomeni di ossidazione, i quali determinano un forte stato di infiammazione localizzata, fortemente favorita dall’aumento in circolo delle small dense-LDL ossidate, e portano alla formazione di una o più placche ateromasiche.

Vediamo, quindi, come l’alimentazione possa influire negativamente sull’aumento delle small dense-LDL, secondo gli ultimi dati provenienti dalla ricerca scientifica.

In particolare, voglio citare uno studio che ha messo in relazione due diversi pattern dietetici con il rischio cardiovascolare: il pattern A, caratterizzato da bassi livelli di small dense-LDL, alti livelli di large buoyant-LDL e di HDL, e il pattern B, caratterizzato invece da alti livelli di small dense-LDL e di trigliceridi, e bassi livelli di HDL. Ebbene, il pattern B è risultato essere il più correlato al rischio cardiovascolare.

Ma come si arriva ad avere questo profilo? Facile: attraverso una dieta ricca di carboidrati e povera di grassi. Non avete capito male, né io sto delirando (è tutto su PubMed, cercare per credere): l’assunzione di elevate quantità di carboidrati aumenta i livelli sia di small dense-LDL sia di trigliceridi, e abbassa quelli di HDL. Un’alimentazione che, invece, preveda la presenza (non l’eccesso) di grassi – anche saturi –  e di cibi come uova, pesce, formaggi, carne, oli vegetali non raffinati e frutta secca, promuove l’aumento delle large buoyant-LDL e anche delle HDL, a scapito dei trigliceridi e delle small dense-LDL.

Inoltre, si è visto che il colesterolo alimentare NON influisce significativamente sui livelli totali di LDL, e che il consumo quotidiano di uova riduce i livelli di small dense-LDL. In un recente studio, infatti, il livello di small dense-LDL si è ridotto del 18% in coloro che hanno consumato 3 uova al giorno per un periodo di 12 settimane.

A oggi, i test per misurare i sottotipi di LDL in circolazione non sono molti, ma la ricerca sta facendo progressi, e nei laboratori più avanzati è possibile trovare questo tipo di analisi.

Inoltre, un metodo indiretto, ma anche facile e veloce in quanto auto-somministrabile, è quello di misurare la glicemia prima e un’ora dopo il pasto: il valore di glicemia post-prandiale, infatti, indica non solo l’aumento di glucosio nel sangue, ma anche quello delle small dense-LDL. Perché? Perché i cibi che più aumentano la glicemia sono gli stessi che aumentano le sd-LDL: quelli ricchi di carboidrati!

Se adesso vi sentite un po’ confusi, non vi biasimo.

Dopo cinquanta anni di disinformazione e continuo bombardamento contro il colesterolo, è comprensibile che se ne abbia “paura”. Ma non è mai troppo tardi per informarsi e… ricredersi.

Il mio consiglio? Dite addio alla dieta low-fat e ai pregiudizi sul colesterolo, per il vostro bene.

 

    

Bibliografia (una piccola parte di quella che potete consultare in letteratura):

–          Low-Density Lipoprotein Subclass Patterns and Risk of Myocardial Infarction Melissa A. Austin, PhD; Jan L. Breslow, MD; Charles H. Hennekens, MD; Julie E. Buring, DSc; Walter C. Willett, MD; Ronald M. Krauss, MD. JAMA 1988; 260(13):1917-1921. doi:10.1001/jama.1988.03410130125037.

–          Plasma Oxidized Low-Density Lipoprotein, a Strong Predictor for Acute Coronary Heart Disease Events in Apparently Healthy, Middle-Aged Men From the General Population Christa Meisinger, Jens Baumert, Natalie Khuseyinova, Hannelore Loewel, and Wolfgang Koenig. Circulation. 2005

–          Low-density lipoprotein subclass patterns and lipoprotein response to a reduced-fat diet in men. Dreon DM1, Fernstrom HA, Miller B, Krauss RM. FASEB J. 1994 Jan;8(1):121-6.

–          High intake of cholesterol results in less atherogenic low-density lipoprotein particles in men and women independent of response classification. Herron KL, Lofgren IE, Sharman M, Volek JS, Fernandez ML. Metabolism. 2004 Jun;53(6):823-30.

–          The cholesterol myths – Exposing the fallacy that saturated fats and cholesterol cause heart disease. Uffe Ravnskow.

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