BERLUSCONI E I SERVIZI SOCIALI

La decisione del Tribunale di Sorveglianza di Milano sulla pena residua di 1 anno che Silvio Berlusconi dovrà scontare per la condanna per frode fiscale inizialmente quantificata in 4 anni (che essendo riferita a reato consumato prima del 2006 risulta indultata per 3 anni) ha evidenziato da una parte una certa disinvoltura nella trattazione dell’argomento da parte degli organi di stampa da un’altra parte la confusione generale che regna riguardo all’argomento delle pene alternative al carcere previste dal nostro sistema penale.

Dispiace costatare che un argomento tanto delicato venga pure utilizzato in chiave demagogica ai fini di polemica politica specialmente se, tra gli altri, a fare questo è un politico di indiscussa intelligenza come D’Alema che ha dichiarato che “la politica si è dimostrata a velocità variabile con una particolare attenzione al ruolo politico di Berlusconi” affermando che “chi è meno ricco e potente va in prigione per reati minori” …

 

Ahimè è vero che in Italia la giustizia viene amministrata con una normativa tanto farraginosa che essere assistiti da legali più o meno bravi rischia di fare la differenza, ma nel caso specifico di fruizione delle pene alternative al carcere, specialmente a seguito delle note sentenze di condanna del nostro Paese da parte della Corte di Strasburgo, per il sovraffollamento carcerario, la tendenza giurisprudenziale, in presenza ovviamente dei requisiti di legge, è quella di concedere le pene alternative, quindi, checché ne dica D’Alema, anche chi è meno ricco e potente, a condizione che ne ricorrano i requisiti di legge, ottiene le misure alternative, in Italia attualmente i condannati in affidamento al servizio sociale sono più di 10.000, è difficile ipotizzare che siano tutti ricchi e potenti.

 

Ma a parte l’infondatezza dell’accusa nel merito, ritengo istituzionalmente riprovevole e democraticamente disdicevole (e peraltro è esattamente speculare all’analogo ma opposto atteggiamento del centrodestra) il tacciare l’attività giudiziaria di essere influenzata dalla persona oggetto del giudizio; la giustizia deve essere (e per fortuna in Italia lo è ancora abbastanza nonostante la lentezza e tutti i problemi “burocratici”) per tutti.

 

Ma torniamo al nostro caso:  tutti i giornali danno risalto alla prescrizione contenuta nell’ordinanza di affidamento  relativa all’obbligo di effettuare,  ogni settimana, 4 ore di attività presso la Fondazione Sacra Famiglia di Cesano Boscone, ingenerando nell’opinione pubblica l’idea che “l’affidamento ai servizi sociali” coincidesse solo con la prescrizione di un “lavoro socialmente utile”, ma semplicemente non è così!

 

L’affidamento ai servizi sociali è una modalità di espiazione della pena alternativa al carcere che serve, nel caso di parte finale di pene detentive lunghe, a reinserire gradualmente il condannato nella società, ma nel caso di pene di lieve entità ad evitare che un condannato per pene minime passi dal circuito carcerario che difficilmente può definirsi un ambiente “rieducativo” … Capisco che viviamo un tempo in cui nell’opinione pubblica (opportunamente stimolata) della pena si considera preminente, se non addirittura esclusiva, la “dimensione afflittiva”, in questo momento storico non è di moda ricordare che costituzionalmente (art.27) la pena deve “tendere alla rieducazione del condannato”, ma il sistema giudiziario per fortuna è meno sensibile agli umori passeggeri ed è invece consequenziale al principio costituzionale.

 

Ebbene, in quest’ottica di pena che tende alla rieducazione, il sistema giudiziario affida a dei professionisti di seguire il percorso di espiazione della pena fuori dal carcere considerandolo nei casi sopra indicati più efficace rispetto alla reclusione; la maggior parte dei condannati che vengono “affidati ai servizi sociali” non sono obbligati a un “lavoro socialmente utile”, ma semplicemente svolgono la loro attività lavorativa, e osservano le prescrizioni decise dal Tribunale di Sorveglianza riguardo al perimetro in cui muoversi (normalmente il comune di residenza), gli orari da rispettare (normalmente da una certa ora serale fino al mattino c’è l’obbligo di restare in casa), i colloqui da sostenere con i professionisti del servizio sociale.

 

In questo devo dire che il Tribunale è stato particolarmente attento ad evitare accuse di ostruzionismo dell’attività di Berlusconi che, sostanzialmente, è quella di leader politico dandogli come perimetro di azione possibile tutta la Lombardia con possibilità tra il martedì e il giovedì di trasferimento a Roma; ma per converso ha applicato l’obbligo di prestare servizio presso la struttura assistenziale in un’ottica di “giustizia ripartiva”, cioè il condannato viene chiamato (ovviamente in modo abbastanza simbolico), in qualche modo a risarcire la comunità del danno sociale arrecato con il reato. Questo tipo di prescrizione è adottato spesso, come nel caso in esame, quando il condannato è socialmente agiato per cui il lavoro non gli risulta necessario per il sostentamento.

 

Per una personalità egocentrica come quella dell’ex cavaliere, immagino che i limiti (sia orari che territoriali) alla libertà di movimento, l’obbligo di servizio presso una struttura sociale, il dover rendere conto periodicamente del proprio operato al servizio sociale, ma soprattutto l’obbligo di rispettare l’autorità giudiziaria e i provvedimenti emanati (nel provvedimento del Tribunale di Sorveglianza è infatti specificato che eventuali attacchi alla magistratura o al provvedimento saranno pesantemente sanzionati), pena la decadenza dai benefici di legge e in automatico la detenzione domiciliare, costituirà una occasione anche per il cittadino Berlusconi Silvio di operare una revisione critica del suo ruolo sociale.

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