È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
“VO VUSCHITI U PANI”, UN’ISTANTANEA DI PAESE
28 Ago 2015 19:30
Domenica 23 Agosto 2015, a Scicli, ho avuto il piacere di poter relazionare su un libro di storia locale, tra i più interessanti che mi sono capitati sottomano negli ultimi anni. Non solo perché il “racconto” tratta un periodo non troppo battuto sulle pagine rilegate (forse un po’ di più lo è stato sullo schermo, con inevitabili ricadute in storture d’immagine resa), ma soprattutto perché i fatti sono narrati in prima persona da chi li ha vissuti da protagonista: Donna “Lidda” Aprile, coraggiosa eroina della comunità sciclitana e iblea, rappresentante perfetta e persino auspicabile di un ceto borghese, produttivo e utile. Una donna imprenditrice, una commerciante di grande fiuto.
Per le mie convinzioni ideologiche (politiche e filosofiche, ad esser precisi), non ho potuto fare a meno di appoggiarmi al Capitale di Marx, rispolverando una sorta di malcelata benevolenza del saggio di Treviri nei confronti della creativa ed esuberante classe borghese, perlomeno nelle premesse precedenti cronologicamente a una preconizzata (o meglio, auspicata) presa di coscienza del proletariato. Intendo dire che nella fase più scientifica del pensiero marxiano si scorge persino l’encomio dell’uomo-individuo borghese, capace di ribellarsi alle aristocratiche oligarchie feudali. Nel caso ibleo – essendogli alieno il precorso feudale – la similitudine completa va cercata tuttavia nell’accecamento di Odisseo ai danni di Polifemo.
Il libro di memorie della signora Bartolomea Aprile Vindigni si intitola, con enfasi semiologica degli intenti, “Vo vuschiti u pani” (Edizioni ilminutod’oro, a cura di Massimo Giardina), ed è una sintetica epopea di una famiglia borghese: “Mi chiamo Lidda Aprile”, questo l’incipit “sono nata a Scicli il 9 Luglio 1928 da genitori commercianti in prodotti agricoli. … Scicli è circondata da tre colline ed è posta a 96 metri sul livello del mare, il Mediterraneo, il cui azzurro nessuno può avere o comprare.” Mi sembra molto interessante l’accostamento della cultura mercantile alla ben ritenuta impossibile quantificazione monetaria del Mediterraneo. O per senso pratico e pragmatismo, o per afflato poetico che sia, non nutro dubbi sulla manifestazione di una onesta etica mercantile di cui forse i commercianti dell’odierno hanno forse perso traccia nella loro attività. Forse questi ultimi si sono sentiti incoraggiati dal progresso tecnologico inarrestabile, che in qualche modo costringe tutti a pensare che nulla sia impossibile, nulla inacquistabile o non passibile di proprietà. L’autrice, in due occasioni, utilizza un termine che mi ha fatto sobbalzare sulla sedia. Le due occasioni: “Mio padre non era solo un grande lavoratore; era un uomo parsimonioso e dal multiforme ingegno.”; “Sulla sgusciatrice di mandorla, di sessanta anni fa, invece c’è una targhetta: “Giuseppe Cartia via Mentana in Scicli”. Si tratta di un uomo di multiforme ingegno, proprietario di una fonderia con tanti apprendisti, autore di alcuni libri e fu anche sindaco di Scicli.”
C’è una radice ellenica comune, non v’è dubbio, nel “multiforme ingegno” come nel termine “polytropos” associato in qualche occasione al nome di Odisseo. L’interpretazione di Citati mi convince e trovo assonanza tra la mente colorata di Odisseo e l’ingegnosità del borghese imprenditore di inizio novecento. Entrambi sapienti utilizzatori della tecnica, capaci di progredire con essa dallo stato arcadico della ruralità contadina al mondo moderno, la modernità borghese che in qualche modo – occorre dirlo – sconfisse nei fatti l’utopia marxista (ricordo al lettore che Marx non era marxista, né tanto meno conobbe il socialismo reale). Odisseo s’industria e sconfigge il mostro monocolo che ancora vive nella bambagia, allo stesso modo l’eroe borghese (artigiano, mercante, dalle radici orgogliosamente contadine) si erge a interrompere un flusso storico di miseria e povertà. Scrive donna Lidda: “La città prima della guerra viveva di stenti, c’era davvero tanta miseria. Il lavoro si esplicava nei campi, gli sciclitani erano quasi tutti contadini. I contadini, dopo aver lavorato la terra tutto il giorno, la sera trovavano da mangiare sempre e solo fave, e la domenica, per variare, quelle cottoie. Poi c’era chi non aveva neanche le fave e mangiava carrube.” Invito il lettore a cogliere le differenze di “respiro” per come il racconto prosegue, riguardo il periodo che corre intorno agli anni ’60: “Per ben vent’anni abbiamo tenuto un altro bar, il Bar Jolly su Largo Gramsci. Tante volte mi è toccato badare a questo e quello ra Strata Nova (Corso Umberto), perché mio marito doveva aiutare mio papà, impegnato soprattutto durante la stagione dei pomodori. Abbiamo avuto il posto pubblico telefonico per almeno trentacinque anni. Fungeva da posta quando questa era chiusa. Si ricevevano e s’inoltravano telegrammi, dapprima al Jolly e poi in C.so Umberto. Un appuntamento fisso era quello del professore Pippo Puglisi, l’assicuratore, che ogni sabato sera veniva a inoltrare per telegramma le polizze stipulate dalla sua agenzia.”
Storie di paese! L’agile libro di cui sto scrivendo può esser letto anche così, con lietezza e malinconia. Non sono un conservatore, di conseguenza concepisco il “ricordare” un modo per porsi degli interrogativi sul futuro (Tiresia sapeva vedere nel passato, nel presente e nel futuro). Oggi ci si dà molto da fare, spesso a vuoto. Non mancano qualità in questo uomo postnovecentesco, così tante da annullarsi tra loro in una briga senza fine, funzionale alla produzione continua di cose che pervengono nella maggioranza dei casi tra le fila della categoria dell’inutilità. Credo stia in questo, nella sostanza, la differenza tra gli imprenditori di inizio novecento e quelli di questo nuovo millennio: la capacità di produrre utilità reali, l’abilità di fare utilmente. Donna Lidda appare lontanissima, e lo sarà ancora fino a quando l’uomo borghese, l’Odisseo della nostra quotidianità, non riuscirà a riappropriarsi della capacità di progredire (dal punto di vista culturale) di pari passo alla velocissima tecnica. Anche per riorganizzare una società è necessario impadronirsi di una tecnica per farlo. Nel libro, un tizio dice a donna Lidda: “Sapete perché il mondo sta a andando in questo modo?”, sottintendendo che esso andava male (il mondo va sempre male, pare) “Perché i genitori stanno dando molta importanza ai figli”. Forse si potrebbe ricominciare da qui, concedendo ai figli la possibilità di poter sbagliare da soli, senza ingerenze paternalistiche, perché vadano anch’essi a guadagnarsi il proprio pane.
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