USCIRE DALLA CRISI DI GOVERNO PER USCIRE DALLA CRISI DELL’ ITALIA

E’ difficile commentare “in corso d’opera” una situazione così ingarbugliata e del tutto nuova come l’attuale crisi di governo. Per la prima volta in quasi 70 anni di storia repubblicana, per la prima volta la crisi è stata costruita su un “caso” giudiziario che riguarda un ex-Presidente del Consiglio, e non su un problema politico o programmatico. Ingarbugliata, la situazione, lo è nel suo punto di inizio, nel suo svolgimento e, speriamo, non nel suo epilogo. Il punto di inizio della crisi sono insolite e irrituali dimissioni di un intero gruppo parlamentare, poi dell’intera delegazione PDL, componente essenziale della maggioranza che sostiene il governo; alle dimissioni ha fatto seguito un convulso fine settimana, con il colpo di scena finale: Letta respinge le dimissioni e stamane i ministri PDL sono presenti al banco del governo.

Il governo ha assunto in questi giorni un comportamento lineare, portando davanti alle Camere le sorti del governo, distinguendole dai casi giudiziari di Berlusconi, e chiedendo la fiducia per realizzare un programma fino al 2015.

 

Era forse un passaggio inevitabile, fin dalla nascita di questo governo: purtroppo non è solo crisi di governo, ma crisi del Paese. Le opposte tifoserie hanno forzato la mano in questi mesi alla politica fatta da chi pensa che l’Italia non ha bisogno di una parte che vince sconfiggendo l’altra, ma di soluzioni ai problemi del Paese, con la condivisione più ampia possibile.

Conseguenza: un assurda fretta di “scacciare” dal Parlamento il “nemico” (bastava aspettare e tra un paio di mesi sarebbe successo in modo legalmente e politicamente ineccepibile), e una simmetrica sceneggiata dall’altra parte, con nessuna considerazione per il dovere di responsabilità.

Altra conseguenza (e forse non casuale): per l’ennesima volta negli ultimi vent’anni, il dibattito è monopolizzato dalle vicende di Berlusconi invece che dai problemi del Paese.

Le ultime battute sono state sconcertanti, da entrambe le parti: il congresso PD e il voto sulla decadenza di Berlusconi hanno accelerato la voglia di elezioni (con la stessa legge elettorale e con gli stessi rimborsi ai partiti): le dimissioni in massa erano tecnicamente irrealizzabili, e bene ha fatto Letta a chiedere il dibattito parlamentare sulla fiducia. Il rilancio delle dimissioni dei ministri non ha cambiato, in sé, il quadro, ma lo ha reso più fosco e greve.

Perché l’Italia rimane politicamente divisa in due fazioni (che si identificano in due partiti, PD e PDL), con una quota crescente di delusi e arrabbiati (che votano M5S o stanno a casa). Il resto scompare, come è logico sia quando suonano le trombe della battaglia. E la guerra produce la sconfitta di tutti.

 

Alcune considerazioni, provvisorie, a dibattito ancora in corso: il PDL occupa la prima linea della scena politica, ma si divide al suo interno, tra chi ritiene di separare la propria sorte politica, e quella parlamentare, dalla sorte di Berlusconi e chi si stringe attorno a lui decisa ad andare a fondo con una nave che ormai si sta inabissando (visivamente rappresentata dal senatore Berlusconi, seduto in aula ma quasi annichilito e incapace di reazione). Il PD, da questo quadro, lucra una momentanea coperta a nascondere le proprie contraddizioni interne, diviso in correnti che oscillano tra massimalismo barricadiero e tentazioni di moderatismo. Il centro, nella sua rappresentanza parlamentare (UDC e Scelta Civica) è, per il momento fuori dalla scena. Non solo perché non è in grado di partecipare allo scontro in atto, ma anche per una propria scelta attendista, convinto, forse a torto, di poter lucrare dalla situazione intercettando i transfughi del centro-destra.

Due battute conclusive e provvisorie, immaginando la soluzione più probabile: la crisi si risolverà, perché nessuno può essere tanto sconsiderato da presentarsi agli elettori come causa del fallimento dell’ Italia. La prima riguarda il centrodestra e Berlusconi: anche se si ricompatterà tatticamente nel voto, come sembra, la scissione è ormai irreversibile. Un gruppo consistente di parlamentari ha preso atto che la sorte politica di Berlusconi è definitivamente segnata, e il passaggio di questi giorni ha dimostrato quanto sia sterile l’irrigidimento dei “falchi” incapaci di visione politica vera.

La seconda riguarda il “centro”, che io mi ostino a considerare maggioritario nel paese, obbligato dallo scontro muscolare delle due fazioni estreme  a rimanere finora nascosto nell’assenteismo elettorale e nella protesta (legittima). Questo centro ha bisogno, reclama, una politica concentrata sui problemi, una politica non schiava di opposti estremismi, e una politica interpretata da leader credibili, autorevoli, autenticamente rappresentativi. Questa è la vera sfida dei prossimi mesi, che determinerà le sorti della politica italiana per un nuovo ciclo, che si auspica durevole. Una sfida che chiamma all’impegno prima di tutto i semplici cittadini, poi le associazioni e i movimenti culturali e politici, il variegato mondo cattolico, tutti coloro che hanno a cuore le sorti del Paese e non lo vogliono lasciare ostaggio di una politica “vecchia”, che ha forse battuto il suo ultimo colpo con questa crisi di governo.

 

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it