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“Una giornata indimenticabile”: psicoanalisi della gita in barca
17 Ago 2023 09:13
La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola
Sono ricoverato da giorni in vacanza intensiva. Dopo queste brevissime ferie, tra ritmi frenetici, mangiate luculliane, orari sballati, sbornie solari e assembramenti vorticosi, un immancabile appuntamento estivo rischia di infliggermi ora il colpo di grazia. Non biasimatemi. È solo una mia nevrosi. In Estate, prima o poi, mi frana addosso quel moment inesorabilis: la gita in barca di un’intera giornata. Gommone o varcuzza che sia.
“Si parte con comodo alle 6.00 del mattino e si torna non prima delle 22.00. Mi raccomando! Portate i tramezzini. Noi l’anguria. Il mare, dicono le previsioni, sarà una tavola!”
Stimazzi. Una tavola sì, ma in una geometria non euclidea e vista da un ottovolante. Mi hai fregato già l’anno scorso. Ho piazzato la tenda alla guardia medica per due giorni l’estate passata e i tramezzini al tonno mi uscivano dalle orecchie. In nome della vostra “sindrome di Robinson”, non ho visto una toilette degna di questo nome per sedici ore e non dimentico i granchi nella rotula tra gli scogli e i cespugli dell’unica sosta volante …
Divento scurrile, lo so. Scusatemi. Il fatto è che io ci soffro. Da sempre. E soprattutto a questa età. Non potete capire: intorno è tutto un vorticoide girare e dentro un cosmico nauseare. Ho una labirintite sociopatica.
Diciamolo. La gita di un giorno sano è meravigliosa per gli amatori, per i cultori del genere “Nudi e crudi” su Sky. E per tutti gli altri, ma solo su una nave da crociera. La traversata transoceanica 24 h stile Titanic solo se sei Leonardo Di Caprio prima del bagnetto scozzese rigenerante. Altrimenti per i comuni mortali rischia di essere estrema.
Non puoi bere per sedici ore, al limite un crackerino, perché è asciutto (ma ha l’olio di palma), devi scapicollarti subito a largo se (Dio non voglia!) la barca si ferma, nell’incredulità generale. Devi schivare meduse grandi come orche assassine e la musichetta dello squalo ti sovviene senza motivo, incessantemente. E soprattutto nessuno comprende che non deve rivolgerti la parola per nessuna ragione e che i tuoi grugniti o il tuo mutismo diurno non vogliono essere segno di maleducazione, ma tutt’al più di un gran “vaffankubo” sussurrato allo stremo delle forze, un sibilo nei rantoli della fine.
E quando finalmente tocchi la terraferma, ustionato e barcollante come un ubriaco, e ti accasci sulla prima panchina, implorandola di fermarsi, ecco, ti tocca pure ringraziare, mentre ti invitano ad un selfie finale e definitivo: “Grazie per la giornata indimenticabile. E scusate se non ho accettato la vostra anguria. Alla prossima. Ma anche no.”
Non abbiatene a male. Altra cosa è un giretto in barca di due orine con il mare sedato dal Lexotan dei venti e la compagnia giusta.
E ad ogni modo, io alla navigazione preferisco la camminata veloce sulla terraferma, la diversamente corsa sulla pista ciclabile in riva al mare. Ma questa è un’altra storia per la prossima puntata. È una promessa o, se preferite, una minaccia.
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