Tragedia di Mascalucia, come è potuto accadere? Madri, figli e tragici misteri

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola 

“Houston! … qui Ragusa.”

I processi si fanno in tribunale. Non sui giornali. Non sui social, dove feroci colpevolisti e lapidatori seriali si fronteggiano con i pochi “attenuantisti” e “sociologi del karma”: “la colpa è della società” (ovvero, di tutti e di nessuno). Tuttologismi e psicologismi da tastiera non aiutano a capire. Ecco perché, interpellato qui, nella veste di psicologo e psicoterapeuta, riguardo a quest’ultima tragedia che ha coinvolto una bimba di cinque anni (vicenda che intimamente ne richiama altre a noi così vicine), io esprimo una lettura di cui la nazione avrebbe potuto fare serenamente a meno.
“Come è stato possibile?” Questa è la domanda tremenda. La mia risposta, la cosa più intelligente che io possa dire, riflette essenzialmente la consapevolezza profonda acquisita da decenni di esperienza professionale e formazione specialistica: io non lo so.
Infatti, ho imparato che sarebbe sbagliato fare diagnosi a distanza su persone e scenari sconosciuti. E infatti, le spiegazioni suggestive e affascinanti, lette qua e là, a volte le giudico insufficienti e fuori fuoco.

Autorevoli psichiatri in questa circostanza hanno fatto nuovamente ricorso al “complesso di Medea”: la giovane donna avrebbe agito sulla base di un impulso omicida inteso a colpire direttamente l’ex compagno, in uno sfondo di forte e profonda tensione emotiva.
Questa chiave di lettura non mi sembra efficace e centrata se messa insieme alla versione, comunque più plausibile, della procura, secondo la quale la madre non accettava che la bambina si affezionasse alla nuova compagna del padre. Non sarebbe dunque “Medea” il cuore nero del dramma. La sera trascorsa dalla bambina con i nonni paterni e la felicità dimostrata dalla piccola nel frequentare la donna avrebbero innescato la dinamica incendiaria.
Forse questa potrebbe essere la lettura, ma prima di pronunciarsi definitivamente, ne sono certo, saranno imprescindibili ulteriori accertamenti e approfondimenti rigorosi sulla madre, sulla fisionomia dei contesti e sulla meccanica profonda degli eventi.

Intanto, ciò che più mi colpisce e mi sembra significativo dei tanti risvolti della tragedia è il paesaggio di apparente e assoluta normalità, uno scenario di vita quotidiana a tutti noi familiare, nel quale d’un tratto irrompono i fotogrammi di un film dell’orrore.
I giornali riportano gli stralci del verbale di confessione: “Quando ho preso mia figlia all’asilo siamo andate a casa mia. E ha voluto mangiare un budino, poi ha guardato i cartoni animati dal mio cellulare. Io intanto stiravo… in serata saremmo dovute andare da un mio amico per il suo compleanno ed era contenta…”

L’asilo. Ho visto la foto della corsa verso la mamma che era andata a prenderla all’asilo e l’abbraccio di comunissima gioia, in un’emozione ordinaria e comunque straordinaria con la quale abbiamo tutti confidenza. E la maestra della piccola dice di non aver notato nulla di strano quando la madre è venuta a prenderla.
Il budino. I cartoni animati. Il cellulare. E sullo sfondo, l’asse da stiro. La quotidianità di molti. E in tutte le cose.
È vero, quello emerso dalle indagini sarebbe il quadro di una famiglia non felice, ma come tantissime altre famiglie diversamente felici. Il padre e la madre della bambina erano separati, ma questo accomuna la loro coppia a tantissime altre. Anche i dissapori con la famiglia del marito e persino la gelosia per la nuova compagna di lui. Quante storie conosciamo caratterizzate da elementi simili a questi? Eppure non sfociano in un abisso.

Torniamo alla realtà, mentre navighiamo tra le ipotesi. In Italia vivono circa 4,8 milioni di bambini di età inferiore ai 9 anni. E circa 26 bambini ogni anno vengono uccisi dai genitori. Su milioni la percentuale è minima. Questo dato restituisce l’eccezionalità di atti che giustamente tendiamo a giudicare “contro natura”. A tal punto straordinari, nella loro “crudeltà”, che potremmo relegarli alla variabile ineliminabile della quota minima di male, follia o inesplicabile che appartiene alle nostre esistenze collettive, sin dall’origine del Mondo. E però, anche quando a perdere la vita tra le lacrime più odiose fosse un solo bambino, questo sarebbe comunque inaccettabile. Ecco perché io da anni (e già da prima della pandemia) scrivo che i bambini, le madri, i padri, le insegnanti, gli educatori (e i politici?) di questo Paese avrebbero bisogno di essere avvolti da una immensa rete psico-sociale intesa alla prevenzione e al sostegno. Nell’auspicio che un domani, sugli occhi dei più indifesi, sappiano specchiarsi solo i sorrisi amorevoli delle madri.

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