TRA IL “SÌ” E IL “NO”, PROPENDO PER IL “MAH?!?”

Non lo so, è probabile che non sarei andato a votare, forse ritenendo implicito il mandato popolare a decidere in capo al governo legittimamente eletto (anche se – precedentemente – forse non avrei mai votato Syriza, pur essendo contiguo ideologicamente alle amie aspirazioni politiche). Non ho apprezzato moltissimo la scelta di Tsipras di lasciare “l’ultima decisione” direttamente al popolo greco, specie quando questa riguarda più o meno materia fiscale (fortunatamente in Italia non sarebbe possibile, per legge). Ricordiamolo una volta per tutte, il Referendum non chiedeva di scegliere se restare o uscire dalla zona euro, né tantomeno dall’Unione Europea, ma sono abbastanza sicuro che anche la scelta politica (che pur indirettamente traspare) non doveva esser lasciata all’emotività delle decisioni prese di pancia. È vero anche che nel resto d’Europa in molti hanno cercato tale forzatura interpretativa, nell’intenzione volendo costringere gli osservatori e – cosa più grave – gli elettori greci a esprimere un voto favorevole o contrario alla cosiddetta Grexit. Atteggiamento non responsabile, quest’ultimo, almeno quanto quello tenuto da Tsipras, se non di più. E occorre precisare ancora che non solo le frange estreme pentastellate e salviniane stanno cavalcando tale forzatura interpretativa per scatenare polemiche inutili in Italia, ma purtroppo anche alcuni rappresentanti della Commissione Europea sembrano cercare la bagarre, seppure per motivi opposti ai populisti. Insomma pare che da qualunque lato la si voglia vedere, ci sia una gran senso di sollievo in merito all’ormai ben più che paventato default greco. Il disastro possibile non viene neanche preso in considerazione, e le similitudini con Weimar taciute (forse sconosciute da alcuni, per limiti di informazione scolastica).

Fatte queste premesse, voglio ribadire che la scelta tra “sì” e “no”, non era affatto semplice. Comprendo il rifiuto del popolo greco – ormai stremato – e lo scatto d’orgoglio, avrei compreso – del resto – anche la sconfessione del governo legittimamente eletto (in causa delle premesse già fatte), nella speranza un po’ fatua di sopravvivere ancora per qualche mese. Era giusto e sbagliato votare in qualunque modo (forse il “no” è un po’ più sbagliato). Diciamolo chiaramente, la Grecia non ha scampo, è destinata a fallire, e dunque – al punto dove sono arrivati – i greci forse non potevano fare altrimenti che “negare” l’ultimo asservimento al sistema contabile europeo.

Probabilmente, se proprio costretto, avrei votato , per un unico motivo, ossia perché ritengo Tsipras non in grado di riformare il suo Paese (d’altro canto, in Europa, l’unica in grado di farlo è la Merkel, precisando che anch’ella – in ogni caso – si rifiuta di farlo). Ciò che non riesco a comprendere, nella maniera più assoluta, è il parteggiare di alcuni italiani e il conseguente festeggiare per il “no” vincente. Dovranno chiarire prima o poi, ai propri elettori, come si traduce in soldoni la negazione greca? Ci provo a farlo io, in un qualche approssimativo modo: se di tutti i Paesi europei in crisi, o in lenta ripresa, in questi mesi nessuno ha appoggiato il compagno Tsipras, la ragione non è ideologica né conseguente a rapporti empatici irrealizzati. Irlanda, Spagna, e Repubbliche Baltiche, si stanno lentamente avviando verso una lenta (e forse illusoria) ripresa, dopo lunghi periodi di dura austerity, per cui riesce difficile spiegare ai popoli di questi paesi che devono continuare a stringere un po’ la cinghia affinché si consenta ai greci di non saldare i propri debiti. Il ragionamento semplicistico non lo è poi così tanto. Perché, se è vero che dei tanti “numeri” monetari tirati fuori in questi mesi (compreso Q.E.), nessuno ha un risvolto concreto nelle tasche dell’individuo sociale, è anche vero che l’ammanco – alla fine – dovrà comunque essere coperto (questo sì con risvolti concreti, precisamente tributari). Dunque i festanti politici italiani (di destra e di sinistra) dovrebbero spiegare che il 20 Luglio la BCE – che comunque fa il suo mestiere – chiederà alla Grecia il pagamento della rata. …No, non è risolutorio per un debitore eludere il problema non facendosi trovare in casa, alla visita del creditore.

In Grecia, domenica 5 Luglio, non si è operata una reale scelta: i cittadini greci si trovano dinanzi a un baratro senza fondo, e spero vivamente in un seguito di proposizioni virtuose, dopo i proclami europeisti di Syriza, all’indomani del voto e del presunto “successo” del No. In ogni caso, ripeto, non capisco cosa ci sia da festeggiare. Non siamo a conoscenza di tutti i retroscena, e dunque le nostre valutazioni sono comunque da assimilare a chiacchiera da bar. Non sappiamo realmente quali dinamiche abbiano costretto Tsipras a questo passo così drammatico, non conosciamo la base degli accordi precontrattuali delle parti. È considerabile una scusante per Tsipras, il quale realmente non ha spiragli di vantaggio in nessun ambito della contrattazione. L’Europa oggi non è una figura politica, e neanche economica (i banchieri fanno il loro mestiere, lo dicevo prima, bello o brutto che sia, che piaccia o meno). Piuttosto si tratta di una grande area di mercato, liberissima, con parti in posizione di supremazia totale (dunque infine oligopolica). La socialdemocrazia europea non è stata capace di regolare queste diatribe contrattuali, né arginare le mosse più spregiudicate degli speculatori, ancor meno è riuscita a imprimere una svolta. È stata l’occasione mancata. E ora?

Per un’analisi che si indirizzi con concretezza verso un barlume di soluzione, occorre al più presto abbandonare i sentimentalismi, le simpatie e le valutazioni fondate sulla retro-cultura storica. La Grecia di oggi non ha nulla a che spartire con Pericle, Solone, presocratici, socratici, Odisseo, Achille, gli achei e compagnia bella. È probabile che la Grecia idealizzata non sia mai stata realmente esistente da un punto di vista geografico. Ed è sempre attuale proprio per questa sua inconsistenza territoriale. La svolta in Europa deve essere Politica, a tutti i costi. Si dovrebbe ricominciare a parlare di Costituzione Europea, ridisegnare le Istituzioni, e caricare di contenuti (“poteri”) il Parlamento Europeo. La soluzione non potrà mai venire dai parlamenti nazionali (il documento dei cinque, presentato qualche giorno fa, indirizza verso un territorio pervicacemente nocivo). In un sistema federale realmente funzionante nessuno si sognerebbe mai di metter fuori dalla porta uno stato confederato perché fallisce; quando la California fallisce il dollaro continuerà comunque a essere l’unica sua moneta corrente. Allora forse il problema è più semplice a risolversi di quanto si creda, ed è tutto da concentrarsi nell’incompiuta impalcatura politica di questa unione europea. A onor del vero, Tsipras queste cose le ha dette (più o meno… vado per interpretazione, tuttavia), e non solo lui, ma non credo che il “No” possa essere la giusta alternativa, né il giusto mezzo per giungere alla risolutoria riforma di cui tutti necessitiamo. Poi, visto che ho tirato in ballo il termine, riguardo la richiesta di riforme in tema di libero mercato, sono ben più che scettico. È questo è un discorso che non riguarda solo la Grecia, ma tutto il sedicente mondo progredito. Non riesco a vederla da altro angolo che quello più vicino alla Sinistra: l’uomo rincorre una crescita continua e senza limiti, per motivi connaturati al proprio dover essere (come volontà di potenza nietzschiana, purtroppo). E del resto è innegabile questa necessità. Bello sarebbe autolimitarsi nella prudenza di Kant, ma purtroppo le prospettive di Latouche sono accettabili solo come dato di fatto dovuto a contingenze catartiche (talvolta disastrose) in cui si incorre per imperizia oligarchica o per fatalità. L’uomo cerca la crescita per bisogno, non è capace di decrescere autonomamente. Dunque, per evitare di giungere incautamente in una qualche forma di passaggio catartico che ci costringa a una decrescita forzosa (o in altri termini, per evitare che l’eccesso di produzione sia consumato in attività bellica), si deve ricorrere necessariamente a quel luogo ideale ellenico poc’anzi citato, dove è possibile restringere alla polis l’ambito di una diversa crescita (in termini di sussidiarietà e adeguatezza, citando la nostra Costituzione). La crescita che si atteggi diversamente, rispetto la produzione senza tregua in ossequio al dio Prodotto Interno Lordo, è una conseguenza della lavoro di insieme, internazionalista e dunque europeo, interdisciplinare e multidisciplinare, infine inerente l’unica Questione veramente rilavante, quella Culturale. Speriamo che i padroni di questa Europa diventino Padri, e che la Grecia continui a far parte dell’Europa, quella ideale (cui annetto anche l’attuale Turchia) e quella statutaria. Non mi affido mai ad alcuna speranza, ma dove non resta che questa, seppure infinitamente improbabile, la richiamo per incitare all’attività chi è in potere e dovere di fare qualcosa.

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