È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
Tirannia o complessità?
15 Giu 2017 06:51
L’avemu cca / ancora cca / chi stissi facci / e u cori di sarvaggi / i scannapopulu; / ci liccamu i pedi, / ci damu u votu, / l’ugnia pi scurciarinni; / a corda pi nfurcarinni; / a mazza e a ncunia / pi rumpirinni l’ossa.
L’avemu cca / ancora cca a mafia, / assitatta nte vanchi d’imputati / a dittari liggi; / a scriviri sintenzi di morti / chi manu nsangati.
L’avemu cca / i compari da mafia / chi manu puliti, / i firrara di chiavi fausi, / i spogghia artari ca cruci nto pettu; / unni posanu i pedi sicca l’erba, / sicca l’acqua / spuntanu spini e lacrimi pa Sicilia.
L’avemu cca / l’affamati du putiri; / l’affamati di carni cruda, / ca cridinu a Sicilia / un porcu scannatu / e ci spurpunu l’ossa.
Si si sicilianu / fatti a vuci cannuni, / u pettu carru armatu, / i gammi cavaddi di mari: / annéa i nimici da Sicilia!
Da Un seculu di storia di Ignazio Buttitta
[Li abbiamo qua / ancora qua / con le stesse facce / e il cuore di selvaggi / gli scannapopolo; / gli lecchiamo i piedi, / gli diamo il voto, / le unghie per scorticarci; / la corda per impiccarci; / la mazza e l’incudine / per romperci le ossa.
L’abbiamo qua / ancora qua la mafia, / seduta nei banchi degli imputati / a dittare legge; / a scrivere sentenze di morte / con le mani insanguinate.
Li abbiamo qua / i compari della mafia / con le mani pulite, / i fabbri di chiavi false, / gli spoglia altari con la croce nel petto; / dove posano i piedi secca l’erba, / secca l’acqua / spuntano spine e lacrime per la Sicilia.
Li abbiamo qua / gli affamati del potere; / gli affamati di carne cruda, / che credono la Sicilia / un porco scannato / e le spolpano le ossa.
Se sei siciliano / fatti la voce cannone, / il petto carro armato, / le gambe cavalli di mare: / annega i nemici della Sicilia!]
Se, nel gioco della torre, dovessi, tra scannapopolo o ingannapopolo (come il poeta li chiama in altra poesia), mafiosi, fabbri di chiavi false, spoglia altari con la croce nel petto e affamati del potere, risparmiare una sola categoria dal buttare giù, opterei senza dubbio per i mafiosi. Il male che fanno, lo fanno apertamente, a rischio della vita e, se gli va male, pagano di persona. Si possono guardare dritto negli occhi. Gli altri non meritano forse neanche uno sputo in faccia. Eppure a quest’altri gli lecchiamo i piedi, gli diamo il voto, le unghie per scorticarci, la corda per impiccarci, la mazza e l’incudine per romperci le ossa.
Leonardo Sciascia in “Il giorno della civetta” fa dire al capo mafia don Mariano, rivolto al capitano dei carabinieri Bellodi: «Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, chè mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi…E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre… Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo ». Ribadisce la classificazione nel successivo “A ciascuno il suo” mettendo in bocca a don Benito, un intellettuale che ha scelto di guardare la vita dalla sua biblioteca confortato dai suoi libri: «Non esco mai di casa, da parecchi anni. . . Ad un certo punto della mia vita ho fatto dei calcoli precisi: che se io esco di casa per trovare la compagnia di una persona intelligente, di una persona onesta, mi trovo ad affrontare, in media, il rischio di incontrare dodici ladri e sette imbecilli che stanno lì, pronti a comunicarmi le loro opinioni sull’umanità, sul governo, sull’amministrazione municipale, su Moravia. . . Le pare che valga la pena?».
Dante Alighieri giudica gli ignavi “sciaurati che mai non fûr vivi” e, non ritenendoli degni nemmeno di stare tra i dannati, li colloca nell’Antinferno costretti per l’eternità ad inseguire senza posa, nudi e punti da vespe e mosconi, una ‘nsegna, un cencio senza valore. Sono una schiera così grande che Dante si meraviglia per il loro alto numero. Di essi nel mondo non rimane traccia (“Fama di loro il mondo non lassa“) e anche Dio li ignora (“misericordia e giustizia li sdegna“) non vale neanche la pena stare a parlare di loro (non ragioniam di lor, ma guarda e passa).
Omero, nell’Iliade, fa dire ad Achille che Agamennone è tiranno solo perché la gente a cui comanda è spregiata e vile.
Noi, ciascuno di noi con nome e cognome, che pure siamo capaci di gentilezza e di carità e che lecchiamo i piedi e diamo il voto, ecc., dove, nelle categorie di Buttitta, di Sciascia, di Dante, di Omero, ci collochiamo? La tirannia, la mafia, la corruzione, il sopruso ci sono, ci sono stati e, probabilmente ci saranno sempre. È tirannia o complessità dell’animo umano difficile assai da governare? Noi che facciamo? Dietro l’indignazione, dietro la denuncia vana e parolaia di tirannia mafia corruzione sopruso non nascondiamo forse la nostra ignavia? Cosa ci vuole perché gli appelli di Buttitta: «fatti la voce cannone, il petto carro armato, le gambe cavalli di mare: annega i nemici della Sicilia! » e di Bertolt Brecht: «Affoga nella lordura, abbraccia il boia, ma trasforma il mondo: ne ha bisogno!» possono essere accolti dal vasto popolo degli ignavi, degli ominicchi, dei pigliainculo, dei quaquaraquà e diventare categorie politiche?
Quando l’uomo riuscirà a rendere più umana la complessità dell’animo umano?
Quando? fra dieci, cento, mille. . . anni?
Trasforma il mondo: «Con chi non siederebbe l’uomo giusto / per aiutare la giustizia? / Quale medicina sa troppo d’amaro al moribondo? / A quale bassezza non giungeresti, per / sterminare la bassezza? / Potessi tu finalmente trasformare il mondo, perché / con te stesso essere troppo buono? / Tu, chi sei? / Affoga nella lordura, / abbraccia il boia, ma / trasforma il mondo: ne ha bisogno!» Bertolt Brecht.
Ragusa, 12 gennaio 2010
Ciccio Schembari
Articolo pubblicato sul n. 54/2010 “Il dittatore” della rivista ondine www.operaincerta.it
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