“Sognando Oslo (ma anche no)”

Rubrica: “Houston!…qui Ragusa”, a cura dello psicologo Cesare Ammendola

A Ragusa, riguardo alla qualità della vita, non siamo messi affatto bene. Bambini, giovani, diversamente giovani e anziani. Non si salva nessuno.
Così direbbero da anni le classifiche pubblicate da autorevoli testate giornalistiche nazionali: ora siamo circa centesimi su 107 province italiane partecipanti. Non esattamente un trionfo olimpico (agli Europei abbiamo fatto decisamente meglio, seppure ai rigori).
Il tema della “qualità della vita” e del “benessere” non può lasciarmi insensibile come psicologo. E come ragusano. E, in tutta onestà, avverto una certa insofferenza immunitaria per queste classifiche, che ogni anno, balsamo puntuale come un clistere, sopraggiungono a tonificare il nostro spirito, l’autostima e la fiducia in noi stessi.
Dunque, per quello che vale, dico la mia. E, ironia a parte, la questione è maledettamente seria per almeno due ragioni.

La prima investe il tema della comunicazione umana (nell’era psicologica digitale). Leggere quella che, di fatto, coincide con una “neutrale e algida sentenza” non incoraggia certo investitori, turisti, opportunità e risorse ideali. E chi sceglie di “giudicare” ed “etichettare” pubblicamente in modo così netto, definitivo e schematico, si assume, suo malgrado, una grande responsabilità, anche quando, come nella fattispecie, è autore serissimo e obiettivo di una ricerca serissima e oggettiva.

La seconda ragione riguarda il significato stesso delle espressioni “qualità della vita”, “benessere” (e le “allusioni pseudo-diagnostiche” ad esse sottese).
Le analisi statistiche pubblicate tengono generalmente conto, per farla breve, di alcuni macro-criteri come ricchezza e consumi, affari e lavoro, ambiente e servizi, demografia e salute, giustizia e sicurezza, cultura e tempo libero. Ottimi indicatori. Ma criteri senza un’anima. Infatti, “qualità della vita”, “benessere” sono espressioni e parole profondissime, ineffabili, soggette a interpretazioni molteplici. Andrebbero maneggiate con delicatezza e prudenza (nella dialettica della complessità).

Mi domando, è possibile tirare in ballo queste etichette senza legarle indissolubilmente alla condizione psicologica della persona? Ha senso vederle, cioè, separate dalla soggettività dell’individuo, dalla sua biografia di mille storie e dall’estetica delle sue relazioni più intime e significative?
Nessuno può negare che da molti decenni, anche in quest’area (forse meno sfortunata) della Sicilia, siamo afflitti da contraddizioni, involuzioni, incompiutezze, immobilismo… E la nostra provincia è tutt’altro che uniforme.Ma davvero la qualità della vita dei nostri figli, dei nostri genitori (esagero, persino la nostra) complessivamente è così bassa rispetto a quella di chi occupa il podio delle classifiche nazionali? Lasciatemi dubitare.

Non bisogna essere uno psicologo sociale per accorgersi che nel nostro mondo ancora sopravvive faticosamente il culto per i genitori ed i nonni, come e più che in altre realtà italiane. Non occorre essere un sociologo per rendersi conto che nel nostro mondo è onnipresente e capillare il Welfare, l’attenzione alla fragilità (l’azione dei servizi sociali, il sostegno psico-sociale di rete, nelle forme del volontariato, delle attività parrocchiali e delle agenzie educative, e via dicendo).
È centrale il tema dell’inclusione reale di migliaia di bambini “extracomunitari” nelle scuole. Scuole che peraltro, in molti casi, vedono la presenza quasi costante anche degli psicologi da decenni (in una esclusiva quasi tutta ragusana), da molto prima che il tema dello “psicologo scolastico” diventasse improvvisamente più attuale alla luce dell’emergenza Covid.Non bisogna essere un antropologo per capire che le donazioni del sangue da record (Avis), per dirne una, basterebbero da sole a farci balzare verso la seppur inarrivabile Bolzano. Chiedetelo a Margaret Mead dove sarebbe Ragusa se avesse stilato lei la classifica. Margaret Mead.E gli sforzi funambolici riguardanti la raccolta differenziata dei rifiuti? Ma davvero possiamo sottovalutare così tanto il nostro nuovo slancio eco-psicologico?
E bisogna essere professori in psicologia per apprezzare l’energia ideale e la forza mentale di innumerevoli imprenditori del territorio nel rifiutare ostinatamente la resa a una pandemia mondiale?E sul piano culturale, meriterebbe certo un riconoscimento maggiore lo sforzo creativo e ammirevole profuso da tanti protagonisti del teatro locale, delle rassegne letterarie, dell’arte, dei cineclub, delle biblioteche, del fermento musicale delle bolle che si dischiudono finalmente nel nostro territorio, nell’anelito di un piccolo ma non fittizio Rinascimento ibleo.

Gli analisti che hanno steso le graduatorie hanno intercettato questi elementi di verità? O si sono forse persi questi dettagli? Eppure, ogni cosa risplende nei dettagli. E, più in generale, alla luce delle recenti e drammatiche défaillances della Sanità e della Politica in alcune regioni italiane fino a ieri mitizzate, non saremmo forse autorizzati a fare un bel respiro e ad ambire a un posto meno “umiliante” della classifica? E infine, mi domanderei anche se fossi un neolaureato in Psicologia: retorica a parte, come potrebbero non influire nella qualità della vita degli esseri umani ragusani (e in quelle dei nostri figli) il sole, il mare, la campagna, il cibo, le consuetudini dei rapporti umani (la “densità sociale”)? E tutte quelle piccole banalissime cose che diamo per scontate e che, fiction a parte, nelle classifiche dell’invidia ci vengono dagli altri restituite?

Magari la bellezza non salverà il mondo. Ma ci farà scalare qualche posto nella classifica? Possiamo davvero credere che il paesaggio e l’orizzonte così particolare a cui apparteniamo non nutra costantemente e faticosamente la nostra psicologia del ben essere, come e più che altrove?
Insomma. La Norvegia è splendida. Ma voi ci vivreste per sempre? Chiedetelo a Checco Zalone.
Intanto rifletterò su quanto è infima la nostra qualità della vita, seduto dinanzi a una granita di gelsi e di fronte allo spettacolo dei bambini che corrono, palesemente infelici, come nel più malinconico dei mari di Guccione.

Cesare Ammendola

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