SI VUOLE FARE DELL’AULA CONSILIARE UN ‘BIVACCO DI MANIPOLI’?

Era dai tempi di Giorgio Chessari o di Francesco Baieli che l’aula consiliare non viveva momenti di elevato livello retorico, intorpidita ormai da troppo tempo da una classe politica media più attenta alla spartizione del potere che ad affinare l’arte del governare per puro spirito da tramandare alle future generazioni.

Fortunatamente qualche cavallo di razza, oserei ritornare alla parola dinosauro nell’accezione positiva del termine, rimane sulla ormai malamente affollata prateria della politica, per cui c’è ancora qualche sprazzo vivificante del dibattito, che relega in secondo piano ogni possibile commento su una seduta del Consiglio Comunale.

Seduta dai tempi lunghissimi, quella di lunedì 11 novembre, per un dibattito che, favorito anche dalla stanchezza dei consiglieri e dal conseguente stato di tensione, provocato anche da tempi che si restringono sempre più per la trattazione del bilancio, facilmente scivola nella polemica e tracima oltre i limiti dell’ordine del giorno, a stento contenuto dalla Presidenza sempre attenta a spegnere sul nascere ogni possibile provocazione e ogni sorta di battibecco fra esponenti di maggioranza e opposizione.

Fra i vari interventi quelli attentamente preparati dei grillini, gli unici della maggioranza a intervenire nel dibattito, ricorrendo, more solito, alla lettura con stile parlamentare.

Il consigliere Leggio è stato protagonista di un dotto intervento sulle problematiche della raccolta rifiuti, il consigliere Emanuela Nicita ha allargato il suo intervento su retoriche considerazioni di politica, vantando il lavoro dei grillini intenti a perseguire il bene della collettività fra le macerie che avrebbe lasciato la precedente amministrazione, Zara Federico che ha portato allo scoperto la malcelata avversione per l’atteggiamento delle opposizioni: ha platealmente voluto azzardare, incurante di ogni forma di possibile rispetto istituzionale e democratico, l’ipotesi che tutti gli interventi delle minoranze  siano finalizzati solo a fare perdere tempo per trattenere i consiglieri oltre il tempo plausibilmente comprensibile per la trattazione degli atti all’ordine del giorno.

Una tesi che, sicuramente, potrà incontrare la condivisione di molti ma che, purtroppo si scontra non solo con le più elementari regole istituzionali dell’attuale sistema politico ma rischia di suscitare giudizi estremamente negativi per tutto il suo movimento, come è puntualmente avvenuto, prestando il fianco, legittimamente, a facili accuse di rifiuto e disprezzo della democrazia, che molti sono pronti a cavalcare e strumentalizzare.

Giorgio Massari, in un primo intervento, si era limitato a ripercorrere quanto detto a proposito dell’IMU: ci potevano essere vie alternative ala tassazione a tutti i costi, ora si propone un regolamento inopportuno che danneggia famiglie e categorie produttive, con deleteri effetti depressivi sulle attività economiche. Grave non aver tenuto conto di macro elementi come economia e famiglia, producendo agevolazioni solo teoriche che dovrebbero essere concretizzate da conseguenziali atti deliberati, difficili da emanare entro l’anno.

Dopo non è riuscito a trattenersi e ha tirato fuori la classe politica, mascherando uno sputo con un eloquio forbito e qualche dotta citazione. Perché da un democratico cattolico, forse più appropriato definire con il termine preciso di Democratico Cristiano, ricorrere al discorso del bivacco equivale, per chi vede le cose nella sua essenza, alla peggiore delle offese imbellettata dalla dotta citazione.

Il cosiddetto discorso del bivacco, “Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento…” è stato il primo discorso tenuto alla Camera dei deputati da Benito Mussolini in veste di Presidente del Consiglio. Venne pronunciato da Mussolini il 16 novembre 1922, poco dopo la marcia su Roma del 28 ottobre 1922 e dopo aver giurato davanti a re Vittorio Emanuele III il 31 ottobre al Palazzo del Quirinale.

Un riferimento che sicuramente, sul momento, ha lasciato molti nella più profonda indifferenza, per la totale ignoranza sul particolare, a cui si poteva, forse, anche, aggiungere  la mancata conoscenza dei termini bivacco e manipoli.

Ma che ha portato qualche altro consigliere a rispolverare, addirittura, i recenti supposti contatti dei vertici del Movimento 5 Stelle con la destra e con frange dell’estremismo nero, questo, naturalmente, a livello nazionale.

Non sono mancati, da più parti, i riferimenti ai 300 emendamenti presentati dai grillini in parlamento, che nessuno si azzarderebbe a giudicare come mezzo per fare perdere tempo, anche perché posti accanto ai mille dl PD e ai 900 del PDL.

Ma non considerare l’ambito democratico come possibilità di confronto dialettico, nel rispetto di tutti, è stato certo uno scivolone, reso ancor più grave, per esempio dall’arguta constatazione di Maurizio Tumino che ha fatto rilevare come sia proprio Grillo a dire che il paese affonda perché non riesce ad abolire tasse fra cui comprende anche IMU e TARES.

Sono piovuti accuse e riferimenti di ogni genere per una frase che, al minimo, è stata giudicata infelice.

Non è bastato l’ennesimo appello del consigliere Licitra a voler ricondurre entro i limiti della inesperienza politica quello che ritiene il sintomo di un disagio ma non certo di una insofferenza verso la democrazia.

Potrebbe essere un episodio chiuso, il prosieguo della seduta per l’esame di 62 emendamenti sarà la cartina al tornasole di un reale confronto democratico secondo le attuali regole istituzionali che prevedono e comprendono, fino ai massimi livelli rappresentativi, anche il cosiddetto ostruzionismo parlamentare.

Perché anche alla fine della seduta ci sono stati brutti segnali di accordi per interventi limitati a quelli dei capigruppo o, peggio ancora, a tempi contingentati, precauzioni che sembrano eccessive perché non pare ci sia uno stato di emergenza tale da dover limitare la discussione.

O si vuole fare dell’aula “un bivacco di manipoli”?

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