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Ritornare ora alla normalità. Ma normali lo siamo mai stati?
05 Mag 2022 09:08
“Houston! … qui Ragusa.”
La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola
I segnali ci sono tutti. C’è vita sul pianeta Caos. Dopo la pandemia pandemica, si torna creativamente ad una normalità creativa. Forse. Anche a Ragusa e provincia. La dea Normalità fuoriesce dalle acque come nella Primavera di Picasso.
Piccoli segni qua e là. Ad esempio: l’uso non più obbligatorio del forsegreenpass, l’uso diversamente raccomandatissimo delle mascherine al semichiuso: in discoteca no, al cinema sì, al supermercato no, a teatro sì … Una lista che è bene portare sempre con sé, per non sbagliare (è facile confondersi). E infatti, nel dubbio, molti ragusani hanno risolto tenendo (sempre e ovunque) la mascherina a mezza altezza: sotto il naso. È quell’effetto “c’è non c’è”.
E tuttavia, in qualche modo, ritorneremo normali (come non lo fummo mai). Sì.
E a proposito di capacità reattiva e recupero della normalità, gli analisti hanno scomodato una super parola, buona per ogni occasione, la parola chiave “resilienza”, fino a ieri, un termine a lungo abusato che la psicologia ha preso a prestito disinvoltamente dalla metallurgia e dall’ingegneria. Indica la capacità di un materiale di resistere agli urti senza rompersi.
Non bastava la più familiare parola “resistenza”, perché non si tratta solo di opporsi a una forza schiacciante riuscendo a non esserne distrutti, restando però deformati. La resilienza è di più: è la capacità di ritornare alla situazione precedente, recuperando in bellezza la forma originaria.
Intendiamoci. Per me non è solo una questione estetica: la parola è bruttina, non eufonica e suona proprio male (è un “anglicismo” di etimo latino incerto e mater certa USA).
Essere assimilati a un pezzo di latta o a un tronco d’acero non è particolarmente lusinghiero o edificante. Rimpiango gli anni, ormai lontanissimi, dell’Università, nei quali, nel lessico della psicologia sperimentale, venivo paragonato a uno scimpanzé o a un orango o a un cane (pavloviano). Almeno gli animali potevano vantare la tenera complessità dei sentimenti. Il bronzo no. Non l’avevo considerato.
Il punto è per me che il costrutto della “resilienza” è sbagliato. Per almeno tre ragioni. Qui accenno solo alla prima. È fuorviante alludere alla capacità di una persona di ritornare allo stato iniziale dopo un evento traumatico o alla capacità di resistere alle tempeste della vita recuperando lo stato precedente al trauma. All’origine del termine e del costrutto, troviamo proprio questo: ripristinare il pre-esistente.
Al contrario, io ho riscontrato puntualmente nelle persone e soprattutto nelle adolescenti (non in alluminio, bensì in sangue e anima) uno slancio vitale inteso a costruire nuovi scenari interiori, nel bisogno della realizzazione e nel diritto alla felicità. Sotto questa luce, noi ragusani medi potremmo aspirare a diventare migliori di come eravamo due anni fa?
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