PROGETTO GROWROOM

La luce artificiale può essere impiegata come stimolante della crescita secondo tre modalità, cioè come:

1.   _ sorgente primaria della luce necessaria alla crescita;

2.   _ complemento alla luce solare nei mesi a minor insolazione (inverno);

3.   _ per allungare artificialmente la durata del giorno, stimolando la crescita e la fioritura.

 

Così come gli esseri umani hanno bisogno di una dieta bilanciata, anche le piante hanno la necessità di nutrirsi di una “dieta solare” variegata, che comprenda tutto lo spettro per poter crescere adeguatamente e conservarsi in buona salute.

Inoltre, la quantità della luce è altrettanto importante della qualità. Le piante sono sensibili alle stesse radiazioni cui è sensibile l’occhio umano, cioè quelle comprese nell’intervallo 400÷700 nm, tuttavia la risposta delle piante allo stimolo è molto diversa da quella dell’occhio.

Per questa ragione conviene parlare di Radiazione Efficace alla Fotosintesi (PAR), direttamente tradotto dall’espressione

anglosassone “Photosyntetically Active Radiation”.

 

Il nostro sistema di visione presenta un picco di sensibilità in corrispondenza della regione giallo/verde, ovverosia attorno ai 550 nm; per questo motivo siamo soliti segnalare il pericolo con un colore detto, non a caso, “giallo ottico”. In altre

parole, tra i raggi UV e gli infrarossi la nostra sensibilità descrive una “campana”, che potremmo anche definire come andamento ad “A”.

Le piante, invece, fatte le debite distinzioni tra specie, rispondono in maniera quasi complementare, prediligendo i rossi (630 nm) ed i blu, descrivendo un andamento ad “M”, in cui il picco del rosso supera di un 20% l’intensità di quello del blu (figura 1). Così come i grassi forniscono il maggior contributo specifico in termini di calorie per il corpo umano, le radiazioni rosse costituiscono il “cibo” più nutriente per le piante. Va, comunque, detto che una pianta illuminata con sola luce rossa o arancione non si svilupperà compiutamente. La crescita vegetativa delle foglie richiede anche radiazioni blu, un po’ come noi abbiamo bisogno di carboidrati e verdura, oltre alle proteine ed ai grassi.

Inoltre, altre importanti funzioni sono governate da altre lunghezze d’onda intermedie, tanto da poter dire che la porzione ottimale di spettro varia da specie a specie. In prima approssimazione possiamo affermare che le piante abbisognano di tutte le lunghezze d’onda dello spettro per garantire una crescita sana e robusta.

 

Alla luce di quanto visto, non stupirà se affermiamo che la luce per le piante non possa essere misurata con gli stessi criteri impiegati per gli esseri umani. Introduciamo, quindi, alcune distinzioni, che torneranno utili nella determinazione di un’illuminazione adeguata al mondo vegetale.

 

Noi siamo soliti misurare il flusso in lumen e la porzione che investe una superficie (illuminamento) in lux, ossia lumen per metro quadro. Poiché siamo naturalmente sensibili al centro dello spettro, abbiamo costruito strumenti (luxmetri) che approssimano la curva di sensibilità del nostro sistema visivo, con la già citata curva ad “A”, dando poco peso ai rossi ed ai blu, cioè alle lunghezze d’onda marginali allo spettro, in totale antitesi a come le piante vedono la luce. Come potremmo correggere questa aberrazione dovuta all’egocentrismo umano? Proviamo, di seguito, a suggerire degli approcci alternativi.

 

POTENZA FOTONICA

 

Un primo metodo pratico si basa sulla potenza della fonte; la potenza è l’energia emessa ogni secondo dalla sorgente, quindi assumiamo implicitamente che la pianta “veda” in quantità uguali tutte le lunghezze d’onda.

Un andamento a “M”, quindi, della curva. Questo va decurtato delle perdite, perciò si considera l’efficienza energetica della sorgente. Nel caso di una vecchia lampada ad incandescenza da 100 W, si moltiplicherà la potenza nominale per l’efficienza, in maniera tale da ottenere una potenza efficace pari a 5; lampade a scarica più moderne, come quelle al sodio in alta pressione o quelle ad ioduri metallici, accreditate di efficienza del 30÷40%, avranno conseguentemente maggiori prestazioni. Questa potenza efficace viene definita “PAR watt”, derivata direttamente dalla già citata espressione “Photosyntetically Active Radiation”; dunque siamo passati da un’unità di misura soggettiva, basata sulla percezione umana (lumen), ad una oggettiva (PAR watt), che indica la quantità di energia disponibile per la fotosintesi della pianta. Alla stessa maniera in cui si passa dai lumen ai lux (lumen per unità di superficie), s’introduce un’unità equivalente (PAR watt/m2), che qualcuno ha chiamato “irradianza”. Un secondo approccio, più scientifico del precedente, fa riferimento alla Teoria Quantistica, secondo la quale la luce viaggia in “pacchetti” discreti, chiamati fotoni; tali pacchetti sono la minima confezione in cui la luce può essere scambiata e, quindi, interagire con il mondo vegetale.  Da ciò discende che se la fotosintesi necessita di un certo numero di fotoni per aver luogo, ha senso allora considerare quanti fotoni investono

la pianta ogni secondo. Se poi, anche qui, solo i fotoni attivi alla fotosintesi debbano essere considerati, conviene allora chiamarli fotoni PAR, analogamente a quanto visto per la potenza. Questo approccio non trova ampio riscontro tra i produttori di sorgenti artificiali, ma è, invece, molto popolare tra i biologi, che parlano di Flusso di Fotoni per la Fotosintesi, in inglese Photosyntetic Photons Flux (PPF), cioè il numero di fotoni che investe una superficie unitaria nell’unità di tempo. Dato che i fotoni sono molto piccoli, è logico attendersi che questo metodo introduca numeri molto grandi. Affinando il ragionamento, qualcuno ha pensato bene di non considerate il flusso nella sua totalità, ma solo la componente attiva, quella che viene ceduta alla pianta (Yield Photon Flux). Nel caso specifico, le piante sono molto più “ghiotte” di fotoni rossi, che quindi “peseranno” di più nel conteggio, in accordo con la curva di sensibilità della pianta. Mutuando dalla chimica, che si trova alla prese con enormi quantità di componenti base, i ricercatori hanno introdotto la “micromole di fotoni” (mmol) pari a 6 x 1017 fotoni. L’irradianza è misurata, quindi, in micromoli per secondo al metro quadro (mmol m-2 s-1). Quando 6 x 1023 fotoni ogni secondo cadono su un metro quadrato, si definisce tale grandezza come un “einstein”; quindi, i livelli di irradianza per la crescita delle piante si misurano in micro einstein oppure in PAR watt/m2. Queste tre unità di misura sono legittime, pur discendendo da presupposti diversi; hanno tutte il pregio di affrancarsi dalla sensibilità dell’occhio umano e tentare di adottare una “visione” quanto più vicina a quella del mondo vegetale. Le piante che ricevono una quantità insufficiente di radiazione, producono foglie più piccole e più lunghe rispetto alla larghezza consueta e pesano meno rispetto alle consorelle sane. Per contro, un eccesso di radiazione può portare ad evidente secchezza della pianta, che appare sbiancata per distruzione della clorofilla, oltre a manifestare altri

evidenti segni di stress dovuti alla crescita forzata. In ogni caso, un eccesso di radiazione, sia infrarossa, sia ultravioletta, è dannoso alla pianta. Rimanendo entro una “dieta solare bilanciata”, le piante rispondono bene in termini di crescita e si può ragionevolmente ritenere che esista una certa proporzionalità tra livelli di irradianza e di crescita.

La relazione tra le varie lunghezza d’onda e la risposta in termini di crescita della pianta è descritta dalla curva di fotosintesi; tuttavia, è anche possibile determinare una relazione tra le diverse regioni dello spettro e la fotosintesi conseguente. Il fatto che i fotoni blu convoglino maggiore energia rispetto a quelli rossi può essere tenuto nel dovuto conto e portare a diagrammi “pesati”; comunque sia, il principale responsabile della fotosintesi è la clorofilla. Alcuni ricercatori l’hanno estratta per studiare la risposta a specifiche lunghezze d’onda; si è giunti alla conclusione che il processo è una somma di risposte dei diversi pigmenti ed è perciò variabile da pianta a pianta entro un range massimo del 25% rispetto alla curva di risposta media. Fin qui la fotosintesi; la fotomorfogenesi, che comprende la germinazione e la fioritura, è invece regolata dalla presenza o dall’assenza di luce; questi fenomeni non dipendono tanto dall’intensità della luce, quanto dalla presenza oltre un certo valore di soglia ed è regolata da ricettori detti fitocromi. Ma questa è un’altra storia.

LED

Uno dei più grandi vantaggi dati dall’utilizzo di un sistema di illuminazione a base LED sta nella loro durata. L’affievolimento della PAR in questo tipo di lampade dipende principalmente dalla configurazione e dal progetto dell’elettronica interna delle lampade. La causa primaria della riduzione nell’emissione luminosa dei LED è il calore generato nei punti delle saldature dei singoli diodi. Dal momento che i LED non emettono radiazioni infrarosse come le altre lampade, la dissipazione del calore deve avvenire mediante conduzione o convezione. Se la progettazione del sistema ha delle inadeguate piastre di dissipazione, la temperatura si innalzerà con una conseguente diminuzione dell’emissione luminosa. Il tipo di incapsulante utilizzato per coprire i chip dei LED può essere anch’esso considerato un fattore che porta alla diminuzione dell’emissione luminosa. Una pasta incapsulante a base epossidica e opaca può ridurre significativamente l’emissione luminosa. Sistemi di illuminazione a tecnologia LED di alta qualità in genere utilizzano silicone come incapsulante al fine di eliminare questo problema.  Un funzionamento a pieno regime dei chip LED aumenterà la probabilità di una diminuzione dell’emissione luminosa, questo è il motivo per cui la maggior parte delle attrezzature di illuminazione a tecnologia LED per orticoltura vengono valutati in base ad entrambi i fattori, massima capacità di potenza e consumo reale: la prima è la potenza massima che i chip possono utilizzare con pieno wattaggio (es. un sistema di illuminazione a LED può contenere diversi chip da 5W, tuttavia quando questo sarà in funzione, i chip LED consumeranno 3W ciascuno I LED per coltivazione sono progettati in questo modo al fine di ridurre il calore nelle giunzioni, questo ne aumenta l’efficienza energetica e prolunga la durata di tutto il gruppo.

Il nostro progetto

 

Il nostro progetto nato con la collaborazione diretta della Osram, leader nella produzione dei LED, ci ha permesso di studiare e realizzare un sistema modulare a led di alta produzione di PAR sfruttando le qualità costruttive dei LED Oslon SSL 80/150, dedicate all’ortocultura.

Il nostro kit è normalmente composto da moduli min. 100W effettivi, composto da:

·      Ratio Deep blue (LD) photons 21% dei led 

 

·      Ratio Hyperred (LH) photons 70% dei led

 

·      Ratio Far Red (GF) photons 9% dei led

 

I valori medi di µmol/s nei led utilizzati è:  2,34 Praticamente 234 µmol/s a lampada. 

Il kit minimo composto da 2 corpi illuminanti, raggiunge 470 µmol/s/m2.

 

Se per esempio si utilizzando due pannelli LED da 200W consigliamo di appendere le lampade ad una distanza di 90cm, calcolandola dal centro del pannello, al centro del pannello affiancato.

Il motivo di questa distanza sta nel fatto che generalmente, una lampada di questo wattaggio copre un’area centrale di circa 120x120cm, comprendendo anche i margini dove scende l’intensità. A una distanza di 120 cm dal centro della lampada avremo la stessa intensità di luce che abbiamo direttamente sotto la lampada, questo perché pur non essendo direttamente sotto la fonte di luce, l’intensità rimarrà invariata incrociandosi con la lampada posta al suo fianco. 

Nel progetto si è pensato a un capannone che ha un’area di 1080m2 totali mentre la parte da utilizzare con gli opportuni scaffali dovrebbe raggiungere la superficie di circa 864m2. Utilizzando i nostri corpi illuminanti da da 100W (234mmol),  con led già a 80° di lente di diffusione, riusciremo  a coprire 90 cm di spazio distanziandoci tra di loro di 60 cm ne dovremmo installare circa 8 per bancale e 48 per striscia su un totale di  10 strisce. In totale sono 480 corpi illuminanti che corrispondono a 48Kw.

Queste condizioni ci permettono di avere il minimo di produzione, e per raggiungere il massimo rendimento se ne devono aggiungere in parallelo altre 480 raggiungendo un consumo di 96Kw  e una produzione di 450 mmol sulla piantagione.

 

 Marzia Paladino

      Ladyled   

 

 

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