POTERE E COGNIZIONE

Un dato che accomuna la situazione, non certo felice, del Partito Democratico, a livello nazionale, regionale e locale, è quello di una nemmeno ormai dissimulata corsa al potere inteso come soddisfacimento delle ambizioni personali di carriera politica, legato al raggiungimento della carica ambita, sia all’interno del partito che nella vita pubblica.

Parole come servizio, azione a favore della comunità, bene del paese, inteso sia come nazione che come residenza della collettività di riferimento, fanno, ormai, ridere anche chi di politica non ha mai trattato, pura retorica quando è inserita in un contesto compatibile con la lingua italiana, altrimenti suoni destinati ad attirare sberleffi e pernacchie, reali e figurate.

La situazione trascende ogni giorno di più, lo si avverte dai giornali che, ormai, quando parlano di PD non hanno di che dire sulla linea politica, sulle figure ispiratrici di posizioni e strategie, sui programmi, ma si soffermano solo e continuamente sulle correnti di partito, sugli incroci di potere, sulle alleanze, sui continui spostamenti all’interno di una stessa corrente, dalla parte radicale a quella moderata e viceversa, il tutto, spesso, funzionale solo agli obiettivi di carriera politica.

Un tempo c’era la grande Democrazia Cristiana, (possa essere io perdonato dai grandi leader del passato, nazionali e locali, per l’incauto e irrispettoso, relativamente alla Politica, accostamento) , dove, l’inesorabile e mai paga vocazione al potere da parte di leader grandi e piccoli veniva sempre posposta alla Politica e all’obiettivo del potere per il Partito, che venivano prima di qualsivoglia ambizione personale.

E si resta interdetti dal constatare come nulla di tutto questo emerga nemmeno fra gli epigoni di quella stirpe gloriosa che rendeva qualsiasi becero colpo basso una stoccata di fioretto.

Nell’attuale momento di completa dissoluzione di tutti i partiti, il Partito Democratico che doveva proporsi come l’unica aggregazione capace di fronteggiare e risolvere la crisi sociale ed economica, forte della tradizione e della esperienza, si è fatto travolgere dalla dissoluzione globale, evidenziando, dopo la vittoria-sconfitta delle ultime politiche, limiti enormi che scaturiscono, in buona parte, dagli aspetti sopracitati.

Lo choc del trauma elettorale, prima a Roma, poi in posti come Ragusa o Messina, ha fatto perdere la sensazione cognitiva della realtà, le larghe intese, romane o ragusane, hanno fatto perdere il lume della ragione con il risultato, dove acclarato, dove ancora incombente, di consegnare tutto al nuovo che avanza abdicando al proprio ruolo in nome di vuote lotte intestine. La casa brucia, ma si continua a discutere sui danni di una alimentazione sbagliata.

Si vive sul comunicato, più per dare il segnale di esistere e pavoneggiarsi in uno scenario che può diventare non solo locale, invece di comunicare con un elettorato sempre più distaccato e freddo, in cui il 50 % di astensioni sembra non riguardare per nulla il proprio.

La famosa società civile, anche quella già utilizzata senza assimilarne i pregi non avendo mai preso contezza di cosa rappresentasse, è stata lasciata rigorosamente fuori dalle stanze dei circoli, in un impeto autoreferenziale che ha accecato gli occhi e le menti così da restare inermi di fronte al suo repentino colpo di frusta che ha spezzato la schiena a Messina come a Ragusa, con semplicità elementare.

Mi piace citare un passo di un articolo su un giornale di ‘famiglia’, quelli che danno un quadro della situazione più realistico, in una sorta di perverso masochismo che tradisce la voglia di sferzare i compagni per farli tornare alla ragione: “Nelle stanze di Largo del Nazzareno, negli antri bui dove si agitano ancora lunghissimi coltelli, si muovono sempre, ma incappucciati nell’ombra, i soliti Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani, Rosy Bindi e Dario Franceschini e Beppe Fioroni, segno che le vecchie battaglie non sono mai davvero finite, perché nel Pd l’odio non si sedimenta mai, ma agli antichi rancori si aggiungono i nuovi, alle nuove contrapposizione le vecchie, in un marasma che allude a una lugubre disintegrazione”.

Anche se si è voluto sempre sottacere riguardo alla questione che può stare alla base di questo sfascio latente, il mancato processo di fusione tra DS e Margherita è fondamentale per capire tutto.

Occorreva dare vita ad un partito nuovo, che riuscisse ad attrarre e convogliare consensi oltre i tradizionali bacini, operazione che poteva sembrare impossibile in passato, diventata opportunità in un momento di estrema volatilità dell’elettorato di destra e di sinistra, smarrito e senza punti di riferimento, alla ricerca di una nuova casa.

Bisognava dare una idea diversa dai tradizionali partiti, occorreva una sintesi oltre le vecchie identità di provenienza, per offrire agli elettori una proposta fatta di nuovi contenuti, una nuova classe dirigente e un nuovo modo di comunicare.

In una forma sia pure grezza e da rifinire, poteva essere l’idea, il tentativo di un segretario di una piccola città del profondo sud, che ha cercato il colpo d’ala, favorito dallo scenario regionale che porgeva una solida base di credibilità al progetto.

E’ andata male, ma addossargli la colpa della disfatta non è onesto, se si trattasse di una società potrà decadere da amministratore delegato ma va nominato, almeno, Presidente onorario.

La cosa potrà far sorridere, ma deve indurre a riflettere, soprattutto chi conosce le vere cause della sconfitta.

C’è, invece, chi si trastulla a Roma, chi a Palermo, chi a Ragusa

Anime socialdemocratiche e liberaldemocratiche, laici e cattolici, antiberlusconiani viscerali e chi gli riconosce, comunque, il 30% di consensi, rottamatori e dinosauri, una Sicilia colorata da ex bersaniani e da ex dalemiani, cislini, renziani e crocettiani, i tre colli di Ragusa invasi da almeno 5 o 6 correnti che sgomitano come se le elezioni fossero tra un mese e, coerentemente, cercano ancora il candidato da presentare, tutti in fermento per affermare la propria carriera politica.

Di analisi politiche nemmeno a parlarne, si manifesta una incapacità di fondo ad interpretare il fenomeno:

a Ragusa si prende una batosta, ma il Movimento 5 Stelle, subisce un duro colpo, non solo in Sicilia, superiore a qualsiasi interpretazione,  passa dal 30 al 5% in una crisi verticale di credibilità; in città, al di là del risultato, resta una lista di riferimento crollata dai 16.586 voti, per la camera dei deputati a febbraio, ai 3.411 del primo turno, inferiori anche alle preferenze accordate per i candidato Sindaco, 4.732.

UdC e Italia dei Valori sembrano non dare più segnali politici, il PDL core sul filo di lama, a Ragusa è alla canna del gas, restano i Movimenti che riescono a scalfire l’immagine del PD come egemone di un’area di centro sinistra.

Che ci sia un difetto di capacità interpretativa lo si evince anche dall’indifferenza verso fenomeni nuovi come quelli del Megafono di Crocetta, verso cui altri hanno da tempo rivolto attenzioni mentre per alcuni è stato solo il cavallo di Troia per i soliti tentativi di soddisfare ambizioni personali con l’incauto e intempestivo lancio nell’arena di un ingenuo componente di area cattolica.

Quanti ragusani, fra i politici che contano, erano venerdì ad Acicastello, alla convention del Megafono di Crocetta ? Hanno capito che i fedelissimi del Presidente guardano avanti e si vogliono contare ?

Hanno capito che si è aperta la corsa verso la fase congressuale e per la Segreteria regionale ?

Si intravede l’intenzione di Crocetta di mirare alla leadership regionale ?

Come accade da anni, per capire a chi appartiene la segreteria ragusana, occorrerà domandare, e dire che, questa volta, Ragusa poteva recitare una parte da protagonista.

 

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