OSSERVA SPERIMENTA E IMPARA

 

 

Affogati nel bailamme politico istituzionale, stretti fra elezioni nazionali non ancora concretizzate in un nuovo governo per il paese ed elezioni comunali che battono alla porta, può essere un diversivo leggere i risultati delle elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia.

Non si vuole assolutamente stabilire un parallelo, per le differenze di carattere amministrativo e geografico che interferiscono con qualsiasi tipo di valutazione, ma vale la pena di sottolineare alcuni aspetti che, di certo, non possono essere indicatori di flussi elettorali ma possono essere, comunque, oggetto di valutazione.

Debora Serracchiani, del Partito Democratico è il nuovo Governatore del Friuli Venezia Giulia. Ha riportato la vittoria imponendosi di stretta misura con il 39,39% dei voti sul governatore uscente, Tondo del PDL, che si è fermato al 38,93% dei consensi. Una vittoria sul filo di lana che, comunque è stata, già ieri sera, riconosciuta dallo sconfitto.

L’affermazione del candidato del PD era attesa, ma giunge in un momento politico delicato per il suo partito che vede l’affermazione, al primo appuntamento elettorale dopo le politiche di febbraio, di una esponente della nuova generazione di quarantenni vicini a Matteo Renzi.

Per dovere di cronaca va aggiunto che la neo eletta, fra le prime dichiarazioni ha detto,  in un’intervista alla Stampa di Torino, qualcosa di dirompente: “Ho vinto perché dal 25 febbraio non sento nessuno del mio partito. Ho avuto di fianco il Partito Democratico del Friuli, il centrosinistra, ma di sicuro non il Pd romano”.

In un’altra intervista è arrivata a dire, lanciando un’altra stoccata al suo partito: “Se non c’era Roma sarebbe stata un’“asfaltata”, usando un termine in voga nel linguaggio politico odierno. Non sono mancate le critiche all’ex segretario del partito per alcune candidature imposte per le ultime politiche, ma questa è storia di ordinaria politica (vecchia).

Debora Serracchiani, neopresidente del Friuli Venezia Giulia, ha una carriera da democratica che parte dai circoli per arrivare all’Europarlamento e ora alla presidenza della Regione. Avvocato del lavoro, 42 anni, nata a Roma è residente, da molti anni, a Udine. Era stata candidata al Parlamento Europeo in nome del rinnovamento del Pd e aveva ottenuto il risultato di ottenere più voti di Berlusconi.

In una regione dove soffiava, fino a poco tempo fa, il vento continentale della Lega e dove gli elettori vengono considerati più vicini al centrodestra che al centrosinistra, come dato storico, (l’unico presidente mai eletto dal centrosinistra è stato l’industriale Illy, fatta eccezione per una breve parentesi di un anno di un esponente del PDS, nel 1994) l’affermazione resta un dato ragguardevole.

Nel contesto dei risultati va rilevato il netto calo del candidato del Movimento 5 stelle, che si è fermato al 19,2%, in calo di oltre 8 punti percentuali rispetto alle politiche di appena due mesi fa. Qualcuno addebita una infelice scelta del candidato che non sarebbe riuscito a sfondare nei confronti televisivi con i rivali, ma va considerato anche il dato relativo alle liste che ha visto scendere i grillini dal 27% al 13%.

Il sistema elettorale ha comunque garantito una solida maggioranza alla vincitrice che ottiene 26 seggi in consiglio regionale contro i 15 di Renzo Tondo e i 6 del Movimento Cinque Stelle, nonostante i risultati siano ribaltati a livello di schieramenti politici col centrodestra che ha portato a casa il 45,1% delle preferenze contro il 39% del centrosinistra. A livello di singoli partiti, comunque, il Pd si è imposto come la prima forza politica con il 26,8% dei voti seguito dal Pdl col 20% e dai 5 stelle col 13,7. Alla Lega solo l’8,2%.

Come si può constatare è una vittoria personale della Serracchiani che ha vinto, anche, su una altissima percentuale di astensioni, con il solo 50,48% di elettori votanti. In un mix di emotività varie per il voto sul capo dello Stato, per la crescente insofferenza per la classe politica e per i partiti, ha fatto, di certo, buon gioco il rapporto diretto della candidata con i suoi elettori ma ha influito anche la beffa dell’ex.

Sommando infatti i voti del governatore uscente e quelli del candidato indipendente Franco Bandelli, ex Pdl staccatosi per fondare la sua lista «Un’altra Regione» che ha ottenuto il 2,42% delle preferenze, si nota come una manciata di voti avrebbe potuto ribaltare il risultato.

Senza dubbio, dal punto di vista rigorosamente scientifico, è improprio proporre dei paragoni ma ciò non impedisce al semplice osservatore alcune considerazioni.

Ha perso l’apparato di partito, hanno perso i dinosauri della presenza perpetuata, ha vinto il vento nuovo delle giovani generazioni e del rapporto con la gente.

Ha vinto il rappresentante del partito più importante della coalizione, la Serracchiani è stata segretaria del PD di Udine ed è segretaria regionale del Friuli-Venezia Giulia, si è imposta su alchimie politiche e farneticanti e illusorie candidature di piccoli partiti.

Si è sgonfiata la bolla a 5 stelle, la cui consistenza dell’afflosciamento non può essere ricondotta a fenomeno episodico in un momento di grande visibilità a livello nazionale. E dire che il leader era sicuro della conquista della prima regione e, addirittura, gli attivisti erano in attesa dei risultati, per festeggiare, in una birreria di fronte alla sede regionale, in cui agognavano di entrare da trionfatori.

Nel Pdl nemmeno la presenza di Berlusconi ha potuto avere la meglio sulle divisioni interne e un ex ha colpito duro, la storia si ripete, quando Berlusconi avrà sistemato le questioni nazionali, sarebbe tempo che si dedicasse a fare pulizia dei protagonismi locali capaci solo di produrre il nulla in termini di voti.

Impressionante il divario fra il 39% del candidato il il 45% delle liste a sostegno.

Va detto, comunque, che, dato lo scarto irrilevante, va anche considerata la mancata ammissione alla competizione, da  parte del TAR regionale, del candidato che era sostenuto dalla lista Sinistra, comprendente Rifondazione Comunista e il Partito dei Comunisti Italiani, che avrebbe potuto togliere voti alla vincitrice.

Va notata anche l’assenza dai dati sui risultati delle componenti che fanno riferimento a Monti, segnale di una stagione al tramonto.

Infine va constatata l’altissima percentuale di astensione, contro cui i politici poco si attivano nel corso delle campagne elettorali, disattendendo il problema, che, ancora una volta consente al candidato vincitore di esercitare il potere politico pur rappresentando solo, come in questo caso, il 15% degli elettori abilitati.

Da ultimo si rileva la sostanziale parità fra centro destra e centro sinistra, fenomeno che, salvo gli opportuni regolamenti elettorali, ove esistenti, consiglia, in ogni caso, per una serena gestione della cosa pubblica, l’opportunità delle larghe intese, tanto vituperate ma tanto necessarie.

 

C.P.

 

 

 

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