OBAMA, LA SIRIA E LE ARMI CHIMICHE IN ITALIA

Chi non si complimenterebbe con il 44° presidente degli Stati Uniti d’America per la recentissima decisione di trattare con l’idrolisi le armi chimiche siriane, per distruggerle una volta per tutte e affondarle nei mari tra Malta, Grecia e Italia. 

Lasciate ogni speranza O voi che voleste esprimere un commento, perché la notizia non si è ancora esaurita. Prima di procedere con l’imbruttimento e l’inquinamento esagerato dei mari nostrani, il signor presidente ha pensato di far stoccare le armi nella tranquillissima terra calabra, l’area a maggior rischio sismico e idrogeologico d’Italia, già abbondantemente stremata dai bombardamenti delle iniezioni ionosferiche di onde Elf nella parte superficiale della crosta terrestre.

Nello specifico, l’area individuata per l’approdo dell’arsenale bellico, è quella di Gioia Tauro, area di pertinenza esclusiva della ‘Ndrangheta, che espande già i suoi molteplici tentacoli sul controllo del porto, il più importante d’Italia, sia per dimensioni che per circolazione, senza dimenticare l’annosa questione dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, l’unico esempio al mondo completato in oltre trent’anni, con n’uscita ogni 8 km, per assicurare n comodo ritorno a casa ai diversi boss di zona.

Ecco, qindi, che il presidente illustrissimo porta nuova brace al fuoco delle mafie, nuovi motivi d’interesse e di profitto, a discapito, si sa, della salte e della sicurezza pubblica.

L’arsenale chimico della Siria inizialmente era destinato a essere neutralizzato in Albania ma, dopo le forti proteste pubbliche il governo di Tirana è stato costretto – suo malgrado rinunciando ad un cospicuo gruzzoletto in dollaroni dello zio Sam – a declinare l’offerta, e così questo arsenale proibito dalle convenzioni internazionali, delle normative nazionali nonché del buon senso biologico, sarà affondato nella zona di mare ad ovest di Creta, con la connivenza criminale delle autorità di Grecia, Italia e Malta. Tra l’altro in Europa è in vigore la Convenzione di Aarhus (ratificata in Italia con legge 108 nel 2001) che sulla carta – se fatta valere in punta di diritto – dovrebbe consentire alle popolazioni interessate di arrestare questa pericolosa manovra degli Stati Uniti d’America.

Solitamente le sostanze chimiche vengono distrutte mediante combustione in aree specifiche, dotate di opportune infrastrutture presenti in: Stati Uniti, Germania, Francia, Russia e Cina. In questo caso però, trattandosi di un problema politico, nessuno vuole assumersi la responsabilità. Così ricorrono al metodo di idrolisi in mare aperto nonostante, per ammissione indiretta dei nordamericani stessi, questo metodo sia particolarmente pericoloso: infatti, il mare Mediterraneo è stato scelto proprio perché chiuso. Inoltre, come sostengono i ricercatori Centro Nazionale di ricerca scientifica di Atene, l’idrolisi di tutto questo quantitativo pericoloso produrrà una terza componente tossica che sarà formata direttamente nelle acque marine. Perché l’idrolisi non è un processo sicuro in quanto produce anche degli scarti in forma liquida.

Non sarebbe la prima volta per gli americani di scaricare rifiuti tossici e radioattivi nel mare nostrum. Come ampiamente documentato, infatti, già alla fine della seconda guerra mondiale, in palese violazione della Convezione di Ginevra, i sedicenti alleati,  hanno affondato nel Mare Adriatico, nelle acque territoriali della Puglia, su bassi fondali, e nel golfo di Napoli, nonché nei pressi dell’isola di Ischia, migliaia di bombe caricate con aggressivi chimici  (iprite e fosforo).

Facciamo in modo che la storia non si ripeta.

 

 

 

 

 

 

                                                Melania Scrofani

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