Non è un supermercato per deboli: l’ansia dello scaffale vuoto


“Houston! … qui Ragusa.”
La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola

Già all’esordio di questa settimana ne siamo stati testimoni, chi dal vivo, in prima fila, chi per il tramite rutilante dei social: alcuni scaffali di non pochi supermercati ragusani apparivano quasi spogli, semivuoti, pallidi, tristi. Gocce di deserto.
Io stesso, sabato scorso, ho visto vagonate di carrelli strabocchevoli di pile di acqua, farina e pasta. File interminabili. Avvolte dal mistero.
Ma c’è pure una sfumatura thriller. Mi ha sgomentato la vicenda personale dell’olio di semi. Del tutto inopinatamente essa ha assunto i contorni di una serie poliziesca su Netflix. Se non è una fake news quella secondo la quale alcuni rivenditori avrebbero correttamente “intimato” alla gentile clientela di non afferrare più di due bottiglie d’olio di semi a persona.


Lo comprendo. L’innamoramento prorompente e improvviso dei miei connazionali nei confronti dell’olio di semi sarebbe deflagrato per una ragione non raffinata: l’olio illegalmente potrebbe essere utilizzato come carburante per le automobili a diesel (?).
Il tuffo olimpionico sugli scaffali della pasta sarebbe invece legato all’aumento del prezzo del grano (imputabile, a sua volta, alle restrizioni economiche che discendono dalla guerra in Ucraina). Una logica a me oscura ha determinato un aumento del prezzo delle farine in generale. Mistero. Ma io sono solo uno psicologo. Non è farina del mio sacco. Insomma, oggi un piattino di pasta all’olio di semi è diventato una portata importante. Proibitiva quasi.
Lo sciopero degli autotrasportatori, minacciato o realizzato che sia, non ha aiutato. Anzi ha soffiato benzina (è il caso di dirlo) sul fuoco delle ansie universali. Annunci, stop della commissione di vigilanza, adesioni, contro-scioperi e blocchi, in uno stillicidio di emozioni (che neppure sette anni di yoga saprebbero placare in un Nirvana di Xanax dei sentimenti e degli auspici).

L’assalto al supermercato è lo specchio di un “attacco di panico di gruppo”?
Non mi sento di giudicare le paure irrazionali altrui. Lo so, bisognerebbe fare settimanalmente grande incetta di lucidità e sangue freddo. Dovremmo frequentare tutti un po’ più spesso i supermercati del buon senso.
Ma il mood è questo: ansia is in the air. Ed anzi, negli ultimissimi giorni, si è affievolita, e gli scaffali riprendono colore e sorridono di più. E tuttavia, sullo sfondo serpeggia ancora. È come un sortilegio. L’inconscio parlante. Un settimo senso. Ci fidiamo poco dell’amministratore del condominio. Come potremmo affidarci a chi governa il mondo oggi? E decide il destino dei nostri figli? Come se non ci fossero del tutto alieni i tratti sulfurei e feraci e finanche imprevedibili della imbecillità umana. L’imponderabile è sciocco. Abbastanza.


Come potrei giudicare dall’alto? In fondo, io, appena cinque giorni addietro, spingevo faticosamente in avanti un carrello stracolmo di dubbi e di domande. Su e giù per i corridoi solitari.

Direte: ma che psicologo di semi di girasole sei, se anche tu ora metti un piedino nel bosco della psicosi collettiva?Confesso. A me la psicologia nascosta di questa guerra scrive tanti dilemmi dentro. I protagonisti in tv. Ho osservato tutto e tutti. Ho studiato il loro modo di comunicare. Sono deformato. Professionalmente deformato.Non condanno le paure altrui. Io la vedo così. L’ho già scritto altrove. Con la paura nel cielo, si ritorna un po’ bambini. E io mi bambino facilmente. Sono sempre stato un po’ rimbambino.

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