NON ANDATE VIA!

Due aspetti, principalmente, distinguono l’uomo dall’animale: l’utilizzo della ragione e la capacità di adattamento. Quest’ultima rientra a far parte delle life skill, che il cucciolo d’uomo è chiamato a costruire durante il suo percorso di crescita.

Infatti, uno dei momenti cruciali nella prima infanzia è il distacco dalle figure di riferimento principali, di solito i genitori, momento che coincide con l’ingresso a scuola del piccolo.

 

Perché è tanto importante per il bambino la figura della mamma?

La risposta sta nella natura stessa del legame che unisce la diade madre-bambino, la quale oltre ad essere biologica, affonda le sue radici in risposte sociali specie-specifiche a base innata; cioè il bambino è per natura un essere sociale. Secondo lo studioso Bowbly (1907-1990) l’attaccamento del bambino alla sua mamma rientra a pieno titolo tra i bisogni primari; pertanto così come soddisfare la fame, la sete, il sonno sono bisogni fisiologici, lo è pure proteggere la prole dandole sicurezza.

 

Ma allora perché il momento del distacco viene vissuto dai bambini all’insegna di attacchi di pianto, urla e forti resistenze a scollarsi dalle braccia della mamma? E magari altri bambini affrontano la medesima situazione diversamente? Da cosa è dipeso?

Senza dubbio lo stile genitoriale gioca la sua importanza, ma, altresì sono state individuate in laboratorio, anche 4 condotte di attaccamento. Il merito spetta sempre a Bowbly, il quale si spinge oltre affermando che in tali circostanze la madre funge da base di esplorazione per il bambino.

Da tale angolatura, in situazione di attaccamento ansioso-evitante avremo un bambino che evita di avvicinarsi alla mamma, la ignora al suo ritorno oppure la accoglie con chiari segnali di evitamento: si volta, distoglie lo sguardo e nei momenti di separazione egli non sembra essere turbato dall’assenza della madre. Questo tipo di attaccamento è caratteristico dei bambini che hanno esperito nel primo anno di vita una madre insensibile ai loro bisogni di attenzione, che ha scoraggiato il contatto fisico quando il piccolo aveva paura o stava male. Questi bambini esibiscono un eccesso di autonomia e concentrazione sul compito, ma non mostrano né rabbia, né bisogni affettivi, non manifestano dolore ma si mostrano distaccati e freddi.

Situazione del tutto diversa, invece, è l’attaccamento sicuro: questi bambini ricercano attivamente la mamma e mantengono con lei vicinanza e contatto specie nei momenti di riunificazione. Hanno sperimentato una madre responsiva e sensibile ai loro bisogni e richieste di protezione. Se devono separarsi, esprimono il loro sconforto, ma poi sono in grado di esplorare l’ambiente circostante in quanto sanno di poter contare sulla mamma in caso di bisogno.

L’attaccamento di tipo insicuro-ambivalente caratterizza quei bambini che piangono inconsolabilmente, non esplorano l’ambiente se lasciati soli e al momento della riunificazione con la madre scaricano su di lei tutta la rabbia che hanno accumulato. Si parla di “rabbia disfunzionale”, cioè aggressività manifestata al momento sbagliato. Pertanto pur volendo essere consolati respingono la mamma, evitano di stabilire un contatto, in quanto sono arrabbiati per il fatto di non aver avuto fiducia in lei. Questi bambini hanno esperito madri propense a manifestare la loro affettuosità non quando lo richiede il bambino, ma quando avvertono loro il bisogno.

Infine abbiamo l’attaccamento disorganizzato: questi bambini esibiscono un modello di comportamento molto disorientato. Non sempre tutte le madri sanno essere in sintonia con i bisogni del bambino e ciò può essere dovuto a motivi culturali o a ragioni personali.

Dunque l’attaccamento è importante affinché si formano i MOI (Modelli Operativi Interni), ovvero delle rappresentazioni interne che il bambino si costruisce sulla base delle interazioni passate con le figure di riferimento, le quali fungeranno da linee-guida per quelle future. Si è visto che, man mano che il bambino cresce, i legami di attaccamento non dipendono più dalla vicinanza fisica, quanto da qualità astratte del rapporto (come l’affetto, la fiducia, l’approvazione) che vengono interiorizzate sia dal piccolo sia dall’adulto ovviamente.

L’accoglienza quindi rappresenta un punto privilegiato di incontro tra scuola e famiglie; assieme alla capacità dell’insegnante di accogliere i bambini in modo personalizzato, cioè facendosi carico delle loro emozioni, c’è la grande fetta rappresentata dalla figura del genitore: questo dovrà mettere in atto atteggiamenti positivi (specie nei primi mesi di scuola, e in particolare con bambini che non hanno ancora compiuto tre anni), pertanto è buona abitudine presentare al bambino la scuola come luogo dove poter fare nuove esperienze, salutarlo al momento del distacco e rassicurarlo sul fatto che lo verrà a prendere a fine giornata.

 

 

Il bambino non deve vivere la paura dell’abbandono, quindi un genitore che specifica con esempi concreti lo scorrere del tempo infonde sicurezza; ad esempio alle comunicazione generiche del “ti vengo a prendere fra due ore”, è meglio sostituire frasi quali “vado a fare la spesa, tornerò a prenderti, tu intanto gioca e divertiti”. Altri accorgimenti da evitare sono il meccanismo della “sparizione”, il genitore che si allontana di nascosto fa aumentare ancora di più la sensazione di essere abbandonato, promettere regali se il piccolo accetta di rimanere a scuola oppure riportarlo a casa se questo piange.

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it