Noi tuttologi dell’antimafia sui social: le mille versioni di un arresto

La rubrica dello psicologo, a cura di Cesare Ammendola.

Un recente fatto di cronaca non è esattamente passato in sordina sui media e sui social. Ce ne siamo accorti più o meno tutti.
La notizia dell’arresto ha innescato un fenomeno interessante sul piano della comunicazione, dell’immaginario, della percezione, del racconto della realtà.
Mi riferisco alla nostra pulsione, anche la mia, sia chiaro, a commentare e a scagliare le nostre interpretazioni come lance di piombo sul web.
Tre elementi mi colpiscono su tutti. 
La perentorietà di queste interpretazioni. Un po’ da storici ed esperti di “Criminal minds” e “Cold case” degli Iblei, della serie io c’ero e so tutto e ho capito tutto, anche ciò che è nascosto. Sono commenti che assumono la forma di sentenze apodittiche e parole definitive.

Il secondo elemento che mi colpisce è l’incompatibilità irriducibile delle letture di uno stesso evento reale. Per dire, da un lato esplode l’entusiasmo di chi esulta e esprime gratitudine e ammirazione verso inquirenti e forze dell’ordine (nonostante, per inciso, la latitanza e le coperture trentennali). Comunque, si è trattato di una straordinaria operazione investigativa con metodi moderni secondo questa prospettiva. 
Altrove, al contrario dicono: si è fatto arrestare. Vecchio e malato, ha scelto il carcere duro con la possibilità di essere curato. 
Mi lascia perplesso questa polarizzazione agli estremi di due visioni che si escludono ineluttabilmente l’un l’altra, pur emergendo da persone spesso affini nella sensibilità e nel background socio-culturale. Una stessa cosa guardata in una forma così diversa e inconciliabile. Il web diventa un paesaggio infuocato di letture molteplici così distanti o contrastanti tra loro.

Il terzo elemento che mi colpisce è legato ad alcune contraddizioni logiche che affiorano a volte nell’ampio fronte di chi sminuisce il significato dell’operazione dello Stato. 
Si è consegnato o lo hanno tradito? Non è affatto la stessa cosa. Sono due dietrologie legittime che però si contraddicono a vicenda. Delle due l’una.
Tanto più che, obiettano altrove, aveva già ampio e libero accesso alle cure. Perché rinunciare alla libertà?

E riguardo alla presunta scelta di Cosa Nostra o di misteriosi apparati dello Stato (il livello superiore) di scaricarlo, alcuni replicano: nessuno ha interesse a che lui ora sia in carcere, tentato perennemente dall’opportunità di parlare ed esibire prove e riscontri delle sue possibili rivelazioni.
Insomma: detto banalmente, un fatto di cronaca che ha un forte impatto emotivo è un po’ come un Rorschach, un test psicologico in cui si guardano macchie dai contorni indistinti e nei quali ognuno, in base a biografia, personalità, ideologia e stato emotivo, vede un po’ ciò che cavolo gli pare. Ed è chiaro che lo sfondo psicologico di molti su questo tema antico è comprensibilmente abitato da delusioni, frustrazioni, rabbia e quindi sospettosità più che da speranze benevole.
Ma alla fine, chi ha veramente ragione? Non spetta a me dirlo. E forse sarebbe più importante capire le cose piuttosto che avere ragione.

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