NESSUNA LUCE IN FONDO AL TUNNEL

A pensarci bene, passato il periodo di ferie, ci vorrà poco per arrivare alla fine dell’anno. Scadenza che questa volta interessa i siciliani non solo per i classici festeggiamenti per salutare l’anno che va e accogliere con entusiasmo quello che viene.

Per quanto ci hanno detto, il 31 dicembre scompariranno definitivamente le province, si passerà ad un nuovo assetto amministrativo che rivoluzionerà il sistema fin qui adottato.

A ricordarcelo, a Ragusa, la costituzione della Consulta Permanente dei Presidenti dei Consigli Comunali, un organismo neonato, presentato oggi in conferenza stampa presso la Sala Giunta del Comune di Ragusa, che ha messo subito fra gli obiettivi prioritari della propria attività, l’attenzione per tutte quelle problematiche, alquanto sottovalutate, che scaturiranno dall’abolizione delle province, in assenza di una efficiente riforma sostitutiva dell’entità amministrativa.

Nel marasma generale della politica nazionale e regionale, l’organismo appena costituito appare già come una zattera di salvataggio per la chiarezza degli intenti che risalta davanti all’immobilismo della politica e dei politici di fronte a svolte che saranno epocali ma per cui, pare, esista, una fondamentale impreparazione per il dopo.

Fino a questo momento, dopo l’abolizione delle province per dettato regionale, non si intravede nessuna luce in fondo al tunnel.

La legge prevede il passaggio dalle province ai liberi Consorzi entro il termine del 31 dicembre, ma già si profila una proroga che potrebbe far slittare di un anno il termine. In tal senso si è espressa con la stampa regionale l’Assessore agli Enti Locali, Patrizia Valenti, che ha ammesso le difficoltà di arrivare in tempo ad una seria ed efficace riforma. E c’ è già chi vede i vantaggi per il Governo di un commissariamento  prolungato degli enti provinciali, con lo spettro delle proroghe che, come si sa, dalle nostre parti, rischiano di diventare prassi ordinaria.

Le tematiche e i problemi legati all’attuazione della legge sono diversi: la Giunta ha approvato norme relative al passaggio dalle vecchie province regionali alle nuove strutture amministrative, con le opportune norme transitorie, il tutto armonizzato in un documento predisposto dall’assessorato che si è avvalso di esperti sulla materia. Tutto finirà nelle mani delle forze politiche presenti in Assemblea e da lì inizierà un ‘viaggio’ di cui si conosce la destinazione senza sapere quanto tempo occorrerà per arrivarci.

Perché si preannunciano ‘mal di pancia’ numerosi e di varia natura.

Quel che balza subito all’attenzione, anche di chi segue superficialmente l’argomento è la mancanza di certezze sulle nuove divisioni territoriali: assodate le tre aree metropolitane, di Palermo, Catania e Messina, quali e quanti potranno essere i consorzi ?

Il disegno di legge ha fissato dei limiti relativi alla popolazione, da un minimo di 150.000 abitanti ad un massimo di 500.000. Non essendo stati fissati i limiti territoriali delle aree metropolitane, le previsioni partono da un dato teorico di 5 Consorzi che, più realisticamente, viene allargato ad una forbice che va da 7 a 22 Liberi Consorzi.

Facile comprendere i timori di quanti vedono in una operazione ispirata ad un risparmio di spesa, il pericolo di aumento esponenziale di oneri a spese della comunità.

E’ il caso degli esponenti del Partito dei Siciliani, Di Mauro e Figuccia che parlano di “Una proposta schizofrenica, evidentemente sganciata da logiche di risparmio e di efficienza, che sembra rispondere in modo palese ad interessi di singoli politici, se non addirittura del solo Presidente Crocetta e del suo partito di riferimento.” (ce ne occupiamo in altra parte del giornale)

Ma non sono le sole voci dissonanti in tutto il panorama delle forze politiche.

Il problema maggiore è quello delle nuove assegnazioni di competenze: da più parti è intravista l’intenzione di un Governo che tende ad accentrare sempre maggiori competenze e poteri.

Si lascerebbero ai Consorzi gestione di acqua e rifiuti e il delicato settore del turismo, mentre sarebbero avocati a Palermo Formazione e Beni Culturali, insieme altri settori ritenuti bisognevoli di guida unitaria.

Ma come spesso accade in politica si vola alto, sui grandi temi, restano al palo la scuola, la viabilità, il personale, per cui ci sono belle intenzioni ma nessuna proposta concreta.

La questione personale, che, al momento non sembra essere posta a fuoco come meriterebbe dai sindacati, è quella che, sicuramente, provocherà le maggiori difficoltà nell’iter della riforma.

Sarà certo più agevole trasferire chi si è occupato di beni culturali in soprintendenza, mentre appare più complicato trasferire chi si è occupato di turismo in un comune: quale comune ? e se si tratta di uno di quei comuni che pagano ogni quattro mesi, chi ci va?

Pensare di risolvere questi nodi dal ritorno dei parlamentari in aula alla fine dell’anno è pura utopia.

Senza dire che c’è già chi ha sollevato una questione che, se da un lato assicurerebbe il vero risparmio di spesa, dall’altro complicherebbe enormemente le cose: è stato ampiamente dimostrato che la vera riforma, in gradi di assicurare notevoli risparmi di spesa, sarebbe quella di eliminare, o meglio accorpare i comuni con meno di 5.000 abitanti. Ma chi lo va a dire a questi abitanti ?

 

 

 

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